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Radici e passione per non perdere l’anima, il calcio secondo Papa Francesco

di Giovanni Vasso -

PAPA FRANCESCO


Radici e passione. Spirito di squadra e condivisione. Apertura all’altro, senza il quale non si vince. Compagno di squadra o avversario che sia. Garra, certo. Ma, piuttosto che cadere nel vizio della competitività a tutti i costi, del “professionismo” che snatura un po’ il gioco più bello del mondo rendendolo un semplice business senz’anima, è meglio mantenere uno “spirito di amatorialità”.

Questo è il calcio, secondo Papa Francesco. Il pontefice argentino parla a ragion veduta. Da appassionatissimo di futbol. È un tifoso sfegatato, Bergoglio. È stato anche socio della sua squadra del cuore, il San Lorenzo di Boedo, a Buenos Aires. Il Papa sa il “mistero” profano che si nasconde in una palla che rotola. E ci è tornato su, durante la visita al Palazzo Apostolico Vaticano di dirigenti e calciatori del club spagnolo, anzi “gallego” del Celta Vigo. Che ha voluto festeggiare così, con la benedizione del sommo pontefice, i suoi primi cento anni di vita. A Bergoglio non è sfuggita l’assonanza cromatica tra i colori della squadra di Vigo e quelli della sua amatissima Selecciòn. La metafora cromatica gli consente di entrare subito in partita, parlando del valore dell’identità e delle radici. Che restano vive e profonde anche se i casi della vita ti portano a dover scegliere di andartene via dal tuo Paese. “Se avete notato, i suoi colori (del Celta ndr) sono quelli della Vergine Immacolata e anche quelli della maglia argentina, quasi come se nostra Madre volesse legarsi tra le due sponde di questo grande oceano che, più che separarci, ci ha uniti”. Ha ripercorso il dramma dell’emigrazione, evocando “tante esperienze che da argentino ho vissuto nella mia carne”.

Le radici e i simboli. Che sono importanti. Forse più di una scelta di marketing. Quello del Celta, al Papa, non può che essere caro: è la croce di Santiago. “Forse alcuni di voi hanno già notato il significato profondo di questo emblema che avete così orgogliosamente difeso. A volte ci capita di lavorare tanto, litighiamo, vogliamo essere felici, vincere, dimostrare il nostro valore, ma assorti nel difendere i nostri colori, dimentichiamo cosa significano. Le radici però sono importanti, sono quelle che ci danno senso. Le vostre raccontano di una terra che non si chiude al fratello che arriva pellegrino, di gente capace di lasciare tutto per lanciarsi ad affrontare le più alte imprese. Spirito di sana avventura e spirito di fraterno alloggio”.

Ma non basta, Francesco ha impartito una preziosa lezione: “Sia allo stadio che nella vita, le vostre armi, come la croce di Santiago che le presiede, sono quei piccoli gesti a cui a volte non diamo importanza: è vincere dall’umiltà, fare squadra senza fidarsi delle proprie forze, comprendendo che la vittoria è tutto. Che il lavoro di squadra sia importante: quando non si lavora in squadra nel mondo dello sport, perdono tutti. È anche donarsi con generosità, senza lesinare sforzi, sapendo che sacrificarsi per gli altri quando necessario, allo stesso modo, è accettare che affrontare altre squadre serva a migliorare, ad imparare, a mettersi alla prova e testare tutto il nostro gioco”. Dunque il Papa passa a parlare del prossimo: “E in questo senso l’altro, più che un avversario degno di rispetto, è sempre un gradito amico. Se il nostro gioco e la nostra vita, coerenti tra loro, danno quell’esempio, riusciremo a trasmettere non passione per i colori che escludono, ma amore per ciò che rappresentano. A quelle bandiere bianco-azzurre e a quel cammino dell’Apostolo che ci rendono capaci di attraversare oceani e unire continenti, in attesa della corona di giustizia che il Signore, il Giudice, darà a quanti sperano in Lui”.

A conclusione del suo intervento, il pontefice si è concesso un romantico richiamo alle dinamiche che stanno attraversando il mondo del calcio: “E non vorrei concludere senza citare un lavoro, un aspetto laborioso, ma che va sempre mantenuto: la dimensione amatoriale. Quando lo sport perde questa dimensione “amatoriale”, dilettantistica, non ha senso, diventa commerciale o semplicemente asettico, senza passione. Per favore, mantenete questa mistica “amatoriale”. Non perdete mai la dimensione amatoriale”.

I sauditi sono avvisati. Tutti i soldi del mondo non basterebbero. Perché è vero quello che diceva un altro, grandissimo, argentino, José Luis Borges. Non bastano illusioni, non servono ingaggi faraonici: la storia del calcio ricomincia ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa. 


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