Riforma Nordio, per l’Anm così i pm sono sotto l’esecutivo. Ma il messaggio non è ancora arrivato a FdI
Li avevamo lasciati a gennaio, durante l’inaugurazione dell’Anno giudiziario delle Corti d’Appello, con la coccarda tricolore appuntata sul petto e la Costituzione in mano, per rivendicare la loro contrarietà alla riforma della Giustizia fortemente voluta dal governo Meloni proprio negli stessi giorni nei quali arrivava il primo sì a Montecitorio alla separazione delle carriere tra magistrati requirenti e giudicanti. Li abbiamo poi ritrovati a fine febbraio a Roma davanti alla Cassazione per scioperare “in difesa della Costituzione”, tant’è che lo stesso presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Cesare Parodi, in quell’occasione esprime preoccupazione per il rischio che la riforma possa ridurre l’autonomia del pubblico ministero, rendendolo più esposto a “pressioni esterne” compromettendo così l’indipendenza della magistratura. Chiarissimo.
Nel frattempo l’iter parlamentare del Ddl costituzionale continua: arriviamo a giugno, la sinistra è più che mai sul piede di guerra e i magistrati – ça va sans dire – pure. Il 10 giugno, una settimana prima dell’approdo in Aula al Senato, le toghe si ritrovano per un altro sit-in sulla scalinata di ingresso del Palazzo di Giustizia di Milano e anche stavolta il pensiero di Parodi è lapalissiano: “La separazione delle carriere è il tema più delicato e più complesso perché la riforma per come è oggi, anche se non ha una previsione espressa di sottoposizione all’esecutivo, indebolisce fortemente quello che è il ruolo della magistratura e la sua indipendenza”.
Attenzione alla frase: “Anche se non ha una previsione espressa di sottoposizione all’esecutivo” perché è evidente che in nessun articolo o comma del Ddl mai il ministro Nordio avrebbe potuto (o voluto) inserire una previsione del genere – né celata né manifesta – e certamente non è questa la ratio che ha spinto l’esecutivo a portare avanti una riforma attesa da decenni. Semmai la volontà è quella di giungere ad un’effettiva terzietà del giudice e limitare lo strapotere delle correnti. Ma Parodi, legittimamente, ha un’altra opinione. Così ieri in un’intervista ad Avvenire: “C’è il rischio che alla lunga, il pm finisca sotto il cappello dell’esecutivo. Nel complesso, ci pare che il ddl miri soltanto a ridimensionare il potere giudiziario in modo significativo e, devo dire, particolarmente avvilente”.
Appare dunque quanto mai anomalo che il giorno prima – quindi il 18 giugno – in Aula il senatore di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo avesse dichiarato: “Smentiamo seccamente il falso argomento pretestuoso, ripetuto in commissione dalle opposizioni, secondo cui questa riforma assoggetterebbe il pm al potere dell’esecutivo. Falso argomento al quale non si è associato il presidente dell’Anm Parodi, che pur essendo contrario alla riforma, ha riconosciuto che questo assoggettamento non è previsto”.
Intesa mancata? In un convegno organizzato il 14 giugno, nel quale fra i relatori figuravano lo stesso Parodi, il ministro Nordio e l’ex magistrato (ed ex esponente Pci poi Ds poi Pd) Luciano Violante – che da settembre approderà in Rai nel programma Bellamà per curare uno spazio settimanale nel quale proporrà lezioni di educazione civica – ha invitato le parti “ad evitare contrapposizioni tra i poteri dello Stato e a favorire un riequilibrio costruttivo”. Ma le posizioni dell’Anm e della sua (ex?) area di appartenenza sono chiare: al momento in dissenso con la linea ufficiale di opposizione dura e pura dettata da Elly Schlein si sono alzate solo le voci di Goffredo Bettini e di Pierferdinando Casini. Un po’ pochino. Tocca lavorarci di più.
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