Intervista a Ruggieri: “Con la separazione delle carriere finisce l’era dei giudici condizionati dai Pm”
L’ex parlamentare e giornalista Andrea Ruggieri commenta la riforma approvata in Senato: “Serve a liberare i giudici da correnti e pressioni”.
Con l’approvazione in Senato della riforma sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, il confronto sulla giustizia entra in una fase decisiva.
Ne parla Andrea Ruggieri, avvocato, giornalista ed ex parlamentare di Forza Italia, da sempre sostenitore di una visione garantista della giustizia.
Per Ruggieri, la riforma segna la fine dell’era dei giudici condizionati dai pm e rappresenta un passo imprescindibile per restituire terzietà, merito e libertà alla magistratura.
D. La separazione delle carriere è spesso presentata come una riforma di principio. Dal tuo punto di vista, rappresenta soprattutto una garanzia di terzietà del giudice o anche un modo per riequilibrare il rapporto tra accusa e difesa?
R. “Riforma imprescindibile. Realizza terzietà e indipendenza del giudice la cui carriera dipende dal favore dei pm, fino a che esiste un solo csm misto tra pm e giudici.
E’ chiaro che oggi chi giudica ci pensa due volte prima di dare torto a un pm, e specie in fase di indagini preliminari dice: “Nel dubbio non mi metto contro il pm, che vadano a processo e se la vedano con un altro giudice”.
Il giudice smette di essere collega e si libera. Potrà dare torto con la stessa libertà ad accusa e difesa. E si libera anche dalle correnti che premiavano l’amico o il complice politico anziché il giudice più bravo. Non vedo come si possa essere contrari al merito, se si vuole una magistratura rispettabile. Ora manca di discutere l’obbligatorietà dell’azione penale, la responsabilità civile dei magistrati perché ‘chi sbaglia paga’ sia regola valida anche per loro come per chiunque di noi sul posto di lavoro, e di separare le carriere di alcuni magistrati da alcuni giornalisti che fanno da grancassa del loro protagonismo politico sostenendo inchieste forti sui media e debolissime di prove in tribunale, che però nel frattempo trucidano vite, carriere, reputazioni, famiglie, imprese e posti di lavoro.”
D. In un sistema che ambisce a essere pienamente garantista, quali strumenti ritieni indispensabili per evitare che la distinzione tra giudicante e requirente si traduca in nuove forme di rigidità o burocrazia interna alla magistratura?
R. “Sono due culture, quella di chi accusa e quella di chi giudica, totalmente diverse. Ma non vedo il problema. I pm indagheranno come sempre, e il gip super vedrà. Più libero di dirgli di darsi una calmata quando, come capita sempre più spesso, il pm si innamora di una sua idea o difende il suo abbaglio contra personam.”
D. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura restano valori fondamentali. Come si può, secondo te, rafforzare la cultura delle garanzie senza alimentare contrapposizioni ideologiche tra poteri dello Stato?
R. Autonomia e indipendenza restano identiche ma devono essere interne: il giudice deve essere libero da pm e correnti politiche. Se passa il referendum sarà così e per i magistrati bravi sarà una liberazione dal giogo di burattinai politici, come dimostra il caso Palamara.
La contrapposizione di poteri esiste solo perché parte della magistratura vuole avere protagonismo politico e calpesta violentemente terreni non propri. Una volta non era così, i magistrati lavoravano senza protagonismo pubblico. Non credo che nessuno possa dire di quel genio di Falcone che fosse tenero o compiacente nel fare il suo lavoro. Ma non lo vedevi predicare, fare il pedagogo, cercare le prime pagine dei giornali o la tv, fare il moralista, o fare politica.
D. Dal punto di vista dell’avvocatura, la riforma potrà incidere anche sul modo in cui si svolge il processo penale? Pensi che possa contribuire a rendere il giudice più libero e il difensore più tutelato nel proprio ruolo?
R. Assolutamente si. Finisce l’era dell’avvocato costretto a elemosinare appuntamenti e ragionevolezza verso il pm, che si comportava da dominus. Saranno alla pari e che vinca il migliore
D. Da giornalista, come giudichi il modo in cui il dibattito mediatico affronta questi temi? Ti sembra che si riesca davvero a comunicare ai cittadini il senso profondo di una riforma garantista, o prevale ancora una lettura politicizzata della giustizia?
R. “Parte del giornalismo attacca la riforma perché è politicizzato e perché teme di perdere lo ius sputtanandi che gli dà potere. E’ comodo scrivere pagine intere offrendo sostegno a un pm che si supporta acriticamente. Quindi capisco che qualcuno tema di perdere questa comodità, questo potere. Ma notizie in cambio di sostegno e’ un mercimonio che deve finire.”
D. E da ex parlamentare di Forza Italia, forza che ha sempre posto la cultura delle garanzie al centro della propria visione della giustizia, come interpreti questo passaggio? È, a tuo avviso, il compimento di una battaglia storica o l’inizio di una nuova fase di riforme?
R. “E’ un primo passo storico, cui devono seguirne altri. Significa fare diverse riforme, di cui per ora si è solo parlato poco e fatto ancora meno. Il centrodestra e’ un argine al caos che avremmo con la sinistra peggiore di sempre, ma deve innalzare di molto il coefficiente di riformismo e coraggio politico. Oltre che quello dei suoi front men. Per questo, serviranno dei cambiamenti. Anche in Forza Italia.”
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