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Test finto cliente e dipendenti licenziati: bufera sulla grande distribuzione

Il caso riapre il dossier lavoro in un settore in evoluzione. Cosa dicono gli avvocati

di Giorgio Brescia -


Il test del finto cliente e il caso dei tre dipendenti Pam licenziati scuote la grande distribuzione e riapre il dossier lavoro in questo settore.

Dipendenti Pam licenziati: perché?

Il licenziamento di tre cassieri Pam dopo il “test del finto cliente” ha acceso un dibattito che va oltre i tre casi toscani. L’azienda usa da tempo questa prova: un ispettore entra nel punto vendita, finge di fare la spesa e nasconde alcuni articoli. Se il cassiere non li nota, scatta la contestazione. Questa volta, però, una sanzione arrivata fino al licenziamento. E l’episodio ha messo in allarme un intero settore.

I tre lavoratori coinvolti hanno una lunga anzianità di servizio. Fabio, 62 anni, è delegato sindacale e ha raccontato di prodotti nascosti in confezioni difficili da controllare. A Livorno, Tommaso e Davide hanno ricevuto lo stesso provvedimento. Le loro parole sono simili: un clima rigido, controlli a sorpresa, paura di sbagliare anche per piccoli dettagli.

La reazione sindacale sul test del finto cliente

I sindacati definiscono il test uno strumento punitivo e chiedono regole chiare. Sostengono che colpisca soprattutto chi ha stipendi più alti e contratti più tutelati. Ricordano anche che un cassiere non ha compiti da investigatore e non può verificare ogni mossa del cliente. Chiedono quindi il reintegro dei lavoratori e un confronto nazionale sulle procedure di controllo.

Il parere degli avvocati

Giuslavoristi come Silvia Ventura (avvocatessa e membro dell’associazione “Comma 2 – Lavoro è Dignità”) definiscono il test del cliente invisibile un vero e proprio tranello.

Secondo loro, il ricorso a ispezioni anonime per valutare la prestazione non si concilia con lo Statuto dei Lavoratori: il controllo non può essere delegato a soggetti esterni non identificabili.

In più, la sanzione — ovvero il licenziamento in tronco — è considerata sproporzionata rispetto alla presunta infrazione.

Infine, alcuni giuslavoristi avvertono il rischio di profili discriminatori o antisindacali, visto che i licenziati hanno anzianità elevata o ruoli sindacali.

Un mercato che cambia

La vicenda dei dipendenti licenziati dopo il test del finto cliente non sorprende chi studia l’evoluzione del lavoro nella Gdo. Negli ultimi anni il settore ha accelerato sulle strategie di contenimento dei costi. Ha puntato su turni più flessibili, contratti a tempo determinato prorogati a lungo, part-time ciclici e figure con mansioni ibride.

In parallelo, le aziende hanno introdotto sistemi di monitoraggio sempre più strutturati: audit interni, controlli qualità, verifiche sulla produttività e, in alcuni casi, test in incognito simili a quello contestato.

La spinta verso questi strumenti nasce da tre fattori: margini ridotti, concorrenza aggressiva e aumento dei furti nei punti vendita. Le catene vogliono personale più rapido, più formato e più controllabile.

Ma questa strategia entra spesso in tensione con la realtà quotidiana dei negozi: ritmi serrati, organici ridotti, clienti diffidenti e un aumento delle operazioni che ricadono sul cassiere, dalla gestione delle casse veloci all’assistenza ai pagamenti digitali.

Un modello di occupazione in crisi

Il caso Pam mostra il limite di un modello che chiede ai dipendenti massima vigilanza senza fornire strumenti adeguati e senza considerare il contesto operativo. Solleva anche un tema di reputazione: il rapporto tra supermercato e cliente si basa sulla fiducia. E la fiducia passa anche dal modo in cui l’azienda tratta chi lavora alla cassa.

Il confronto ora si sposta ai tavoli nazionali. Ma una domanda resta aperta: la Gdo può aumentare i controlli senza trasformare il lavoro in una prova continua?


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