Cattivi pagatori e rischio default, il lato oscuro del turismo
epa08522058 Empty tables and chairs sit on a street in the usually-crowded old town of Tbilisi, Georgia, 01 July 2020. The Georgian government has allowed the reopening of some hotels, domestic passenger traffic and exchange offices for two months amid the easing of coronavirus lockdown restrictions. As of 01 July 2020, Georgia is among the 15 extra-Schengen countries allowed entry in the European Union. EPA/ZURAB KURTSIKIDZE
Oltre i sold out, oltre gli aumenti pazzi dei prezzi. Oltre le statistiche che tengono, lusinghiere come non accadeva da prima del Covid. Fare turismo in Italia è difficile. E rischioso, dannatamente rischioso. La Crif fa emergere il lato oscuro o, se preferite, l’altra faccia della medaglia parla di fallimenti a raffica per un settore che, specialmente in queste settimane, se non floridissimo lo si direbbe comunque in ottima salute. Stando a una ricerca di Crif Ratings, il tasso di fallimenti per le aziende che operano nel turismo – dagli alberghi fino ai ristoranti passando per bar e agenzie di viaggio – è stimato nel 4 per cento. Si tratta di numeri che risultano imponenti se messi a paragone con quelli che interessano le imprese attivi negli altri comparti economici. Ma che rischiano persino di essere superati dalla realtà dal momento che, da qui alla fine del 2024, il tasso di fallimento nel turismo potrebbe addirittura salire di un ulteriore punto percentuale. Per la precisione, la stima Crif Ratings ipotizza un incremento pari all’1,2-1,3%. I trend si basano su dati di fatto. Che, nel caso di specie, sono da rintracciare nella puntualità dei pagamenti. Merce che, nel settore turistico, si fa sempre più rara. Già, perché le stime redatte da Cribis nel suo Studio sui Pagamento non sembra dare alcun elemento che ispiri ottimismo. L’analisi parte dalla media nazionale dei pagatori puntuali e da quella dei pagatori ultraritardatari. Ebbene, i primi – su scala nazionale – rappresentano il 39,9% delle aziende mentre i secondi appena il 9,5%. Nel turismo, invece, i numeri – che già di per sé non sembrerebbero chissà quanto esaltanti – sono completamente diversi. E molto più inquietanti. I pagatori che onorano solo con grande ritardo i loro debiti sono addirittura il 17,8% mentre quelli puntuali rappresentano appena il 20%. Ma c’è di più. I pagatori precisi scendono ancora, precipitando addirittura al 17,7%, se il campione si restringe alle sole aziende legate alla ristorazione e ai bar. E sale, addirittura al 19,4%, la percentuale di chi non paga i suoi debiti prima che siano passati almeno trenta giorni dalla scadenza. Si tratta di cifre che risultano addirittura superiori al doppio di quelle che, invece, si registrano per gli altri due “campioni” del settore turistico, ossia il settore alberghiero e quello delle agenzie di viaggi. Che, da parte loro, pagano puntualmente ogni loro esposizione nel 28,7% dei casi. Per Crif Ratings non si tratta di un fulmine a ciel sereno ma, anzi, gli analisti osservano come il settore turistico, nonostante la ripresa, non sia mai uscito del tutto dalle pastoie dei problemi scatenatisi con l’emergenza Covid. È dalla fine del 2022, infatti, che le imprese turistiche soffrono difficoltà importanti. A cui, adesso, si aggiunge un’ulteriore iattura che il turismo condivide col resto dell’economia italiana. S’è compressa l’erogazione di credito a loro vantaggio, complice anche l’aumento spropositato del costo del denaro dovuto alle politiche ultra-rigoriste della Bce. Secondo i numeri pubblicati da Crif, infatti, i finanziamenti si sono assottigliati dell’1,4% rispetto al 2023. Tuttavia la flessione non è paragonabile a quella patita, allargando lo sguardo più in generale, alla globalità delle società di capitali italiane che si sono viste svanire addirittura il 3,6% del credito erogato appena un anno fa.
Il settore turistico italiano è puntiforme e costellato da microimprese, spesso a carattere familiare. Si tratta di circa 400mila imprese, suddivise tra agenzie di viaggio (intorno alle 12.300 aziende), ristoranti e bar (circa 321.400) e alberghi (66.600). Il 97% dell’intero comparto si distribuisce tra ristorazione e ospitalità. Per quanto riguarda la dimensione e la veste giuridica, per il 41% si tratta di Ditte Individuali, seguite da società di capitali (33%) e di persone (25%). “Le imprese del settore del turismo hanno visto negli ultimi anni un’importante crescita del fatturato, beneficiando dell’aumento dei flussi turistici sia nazionali che esteri. Nonostante tale fenomeno positivo, a livello di rischiosità creditizia il settore si colloca su livelli superiori alla media, scontando un contesto di mercato fortemente competitivo e uno scenario macroeconomico incerto e complesso sia a livello nazionale che globale. Quest’ultimo continuerà a influenzare la rischiosità del settore anche nel 2024, con tassi di default attesi in crescita per fine anno”, ha commentato Luca D’Amico, ceo di Crif Ratings.
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