Economia

“Una lunga catena di errori Dai conti fino ai progetti “Tutto da rifare, ecco come”

di Giovanni Vasso -

MICHELE GERACI SOTTOSEGRETARIO MINISTERO SVILUPPO ECONOMICO


“Non sono pessimista, il mio dovere non è quello di far finta che tutto va bene ma di dire la verità”. Michele Geraci, economista e docente di finanza alla New York Università di Shangai, già sottosegretario di Stato al ministero dello Sviluppo Economico tempi del primo governo Conte, non ha alcuna intenzione di unirsi al coro in lode del Pnrr ma, con l’Identità, analizza il piano smantellando la retorica e mettendo in fila tutti gli errori compiuti, a cominciare da quelli firmati da Mario Draghi e dal suo governo dei migliori.
Professor Geraci, ma davvero questo Pnrr è nato male ed è stato gestito peggio?
Sì, è stato fatto male da tutti i punti di vista. Sia per le attività che per le passività, tanto per i canali di finanziamento quanto le opere progettate.
Quali sono le criticità maggiori?
Ce la racconta lo stesso Pnrr, anzi lo stesso Draghi che lo ha firmato. Il moltiplicatore fiscale di questo piano è appena dello 0,9 percento. Ricordo che quando col il Conte 1 facevano il reddito di cittadinanza, che non aveva la portanza del piano, ci si criticava perché il moltiplicatore di quella misura sarebbe stato 1,5 ed era considerato troppo basso perché avrebbe dovuto essere almeno 2. Il Pnrr di Draghi non arriva nemmeno a uno. Bisognerebbe credere, allora, che tutti si sarebbero schierati contro. E invece non è andata così.
Era il governo dei “migliori”…
E quel clima ha paralizzato il dibattito, non c’era il coraggio di criticarli. Io mi sono permesso di farlo ma chi ravvedeva problemi taceva. E la comunicazione non ha aiutato. In fondo, Draghi viene dal Mit, dalla banca centrale europea. Sicuramente, si credeva, non poteva sbagliare. Invece ha sbagliato proprio su quello che avrebbe dovuto essere il suo pezzo forte, cioè sulla finanza, sui numeri.
In che senso?
La fila di errori è lunga. È passato il messaggio che si trattasse di soldi che l’Ue avrebbe fatto piovere sull’Italia a fondo perduto. E non è così. Sui 191 miliardi del Pnrr, quelli a fondo perduto sono 9,4. Eppure sono due anni che la gente pensa che siano addirittura settanta, qualcuno un po’ più ragionevole come Calenda ha parlato di 50 miliardi. Questi denari non sono a fondo perduto ma da restituire. Così si crea debito, per di più, “debito cattivo” utilizzando le stesse parole di Draghi perché si tratta di soldi investiti proprio male se il moltiplicatore è appena 0,9.
A quali condizioni dovranno essere restituiti i soldi?
C’è un altro grave errore sul tasso di interesse che noi pagheremo all’Ue. Certo, varia quotidianamente, ma prendiamo il dato tondo del 3%. Ebbene, questo è un tasso maggiorato, non è di certo a sconto come si è voluto comunicare. Si è fatto il paragone con il Btp che, oggi, produce il 4,3% di interessi. Confrontando il tre per cento con il 4,3% si è pensato che ci si stesse muovendo al risparmio. Non è così. Si tratta di due strumenti finanziari che hanno caratteristiche diverse e tutti gli analisti di mercato sanno benissimo che non si possono mettere a paragone come si è fatto nel dibattito pubblico. Questa è stata una trappola ideologica per lasciar intendere che l’Ue ci avrebbe fatto un altro favore concedendoci tassi agevolati per quei fondi dati a prestito.
C’è qualcosa che si può salvare in questo Pnrr?
I progetti sono stati fatti dai Comuni, dove regna l’incompetenza totale ma chi dovrà saldare il prestito è il governo centrale. Il Pnrr andrebbe centralizzato. Tutto quello che attualmente è scritto nel piano andrebbe bruciato, il prestito dovrebbe essere rinegoziato un attimino e i progetti rifatti da zero. Io ne farei due, al massimo tre grandi progetti che abbiano una visione globale dell’Italia dei prossimi vent’anni.
Per esempio?
La linea ferroviaria che unirà Berlino e Palermo in otto ore di treno. Investirei nelle infrastrutture di trasporti ad alta velocità, così da andare addirittura oltre le richieste dell’Ue e cogliere anche gli altri obiettivi come il green e il digitale. A valle, infatti, di questo progetto c’è lo sviluppo di tutte le linee locali, dei raddoppi, dei treni regionali, della sicurezza nelle stazioni, della polizia, il rispetto degli orari, l’aumento del personale. Un progetto del genere sbloccherebbe la produttività del Paese, che oggi è costretto ad aspettare i treni che ritardano.
Insomma, ci vuole (anche) il ponte sullo Stretto di Messina…
È una condizione necessaria per arrivare a Berlino, in otto ore, da Palermo. Ma non deve essere l’unica. A Matteo gliel’ho detto, penso che Salvini lo sappia benissimo. Io prenderei tutti i 200 miliardi del piano solo per l’alta velocità perché poi soddisferebbe anche tutte le condizioni. Il green: perché occorre trovare l’energia per muovere i treni, il digitale per fare la segnaletica che consenta di far andare i treni a 380 km all’ora. La digitalizzazione non è mica il tabaccaio di Enna che compra il computer. Puntare a un livello di efficienza nei trasporti, come la Cina o, se questo modello non piace, il Giappone. Efficienza, ordine e legalità. Tutte cose a cui dovrebbe puntare un governo di destra o, più in generale, a cui dovrebbe mirare un qualsiasi governo.
A proposito di digitale, Asia e competizione globale, l’Ue col Chips Act riuscirà a tornare concorrenziale?
Il Chips Act è fuffa. Si parla di 15 miliardi divisi per 27 Paesi in sette anni. La Taiwan Semiconductors ne investe 45 in un anno. E il progetto Intel per l’Italia non è così allettante: qui si farà solo assemblaggio che è la parte con minore valore aggiunto dell’interno processo…

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