La pace (dei dazi) tra Usa e Cina al telefono, l’Ue spera
Usa e Cina si parlano, e l’Ue aspetta speranzosa. La partita decisiva è durata novanta minuti e s’è giocata sul filo del telefono: Donald Trump e Xi Jinping sono arrivati a un accordo che apre un capitolo nuovo sulla (grande) guerra dei dazi. La chiamata, a cui Pechino ha ribadito di aver risposto dietro insistenze americane, può rappresentare uno spartiacque decisivo capace di incanalare la vicenda tariffaria lungo una conclusione. Il presidente Usa, che ha sempre speso parole positive per Xi, ha riferito di aver ricevuto dal leader asiatico l’invito a recarsi in Cina. Molto più che una semplice cortesia istituzionale, specialmente per chi conosce i complessi rituali della diplomazia asiatica. Xi, durante la telefonata, ha utilizzato la metafora della nave per descrivere le relazioni tra Washington e Pechino sottolineando che la Cina è prontissima a trattare ma che “resterà salda sui principi”. Tra questi, oltre alla lotta al protezionismo di cui il socialismo di mercato cinese s’è fatto alfiere negli ultimi mesi, c’è anche la questione Taiwan. Che, dal punto di vista commerciale e politico non è di certo secondaria, anzi. The Don, che invece è molto più spiccio di modi, ha urlato su Truth la sua soddisfazione: “La chiamata con il presidente Xi è stata molto buona e s’è conclusa in modo molto positivo per entrambi i Paesi”. Quindi ha ventilato una sorta di tregua sulle terre rare affermando che “non ci dovrebbero essere più dubbi a riguardo” aggiungendo che “i nostri rispettivi team si incontreranno a breve, in un luogo da determinare”. La parola, quindi, passa ai negoziatori: la parte americana schiererà il segretario al Tesoro Scott Bessent, il segretario al Commercio Howard Lutnick e l’ambasciatore per il Commercio Jamieson Greer mentre quella cinese sarà guidata da Li Chenggang, in carica da poco più di un mese e mezzo dopo aver sostituito Wang Shouwen. Al termine del loro lavoro, e se tutto filerà per il verso giusto, Xi e Trump si scambieranno visite di Stato suggellando l’accordo. Intanto Donald Trump, dopo la telefonata con Pechino, ha aperto le porte della Casa Bianca al cancelliere tedesco Friedrich Merz. Sarà stata la comune passione per il golf, o forse il fatto che Merz gli abbia portato fino a Washington il certificato di nascita del nonno, herr Friedrich Trump, classe 1869, nato a Kallstadt, ma Trump ha scherzato sul D-day (“non fu un grande giorno per voi”) riconoscendo all’interlocutore di essere “un tipo tosto” ma col quale occorre trattare: “Avremo un buon accordo con la Germania”. Due indizi non fanno una prova, per carità. Ma a Bruxelles, adesso, c’è chi finalmente inizia a respirare. L’ottimismo, che si era già fatto strada nei giorni scorsi, inizia a illuminare le giornate delle negoziazioni. E spinge la Bce a ipotizzare la fine del percorso di tagli ai tassi inaugurato nei mesi scorsi e che, ieri, s’è concretizzato con un ulteriore sforbiciata di 25 punti base che hanno portato il tasso per i depositi al 2%. Come nel febbraio ’23. Una notizia che aveva spinto le borse europee, fino a quel momento caute, a concedersi un attimo di entusiasmo. Che, però, è stato momentaneamente smorzato dalle parole di Christine Lagarde: “Con il taglio odierno, al livello attuale dei tassi di interesse, riteniamo di essere in una buona posizione per affrontare le condizioni di incertezza che si presenteranno. Quindi siamo ben posizionati per affrontare tali circostanze”. Tradotto: non aspettatevi altri tagli. Almeno per adesso. Il che non rappresenta una banalità anche in ottica dazi: se la Bce si ferma è perché, sussurrano quelli che la sanno lunga, sperano che la nube d’incertezza che avvolge l’economia mondiale stia per diradarsi. Per Lagarde, che ha smentito le voci di dimissioni, ha ribadito che “siamo alla fine di un ciclo di politica monetaria che stava rispondendo a shock composti, incluso il Covid, la guerra in Ucraina e la crisi energetica e penso che ci siamo comportati in modo decente”. Ma le conseguenze ci saranno, eccome. I tassi non caleranno più del 2%, così come ci si attendeva al tempo dei picchi rigoristi del ciclo. I dazi, alla fine, ci saranno anche se le tariffe saranno inferiori rispetto alle stangate minacciate da Trump. Il mondo nuovo sta arrivando e Usa, Cina e Ue ne saranno parte.
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