Zaia capolista: uomini a rischio, donne favorite
L’alba dei nuovi manifesti con il volto di Luca Zaia ha rimesso al centro della scena politica veneta una certezza e una domanda. La certezza è che il governatore più amato d’Italia non ha intenzione di defilarsi: sarà capolista della Lega in tutte le province, con lo slogan “Veneto, sempre! L’impegno continua”. La domanda, invece, è quella che agita i vertici della coalizione: chi sarà il candidato alla presidenza?
L’ipotesi di un successore targato Lega prende corpo attorno al nome di Alberto Stefani, segretario regionale, già benedetto dal palco di Pontida. Ma le ultime ore hanno restituito un quadro più sfumato. Ignazio La Russa, presidente del Senato e uomo di punta di Fratelli d’Italia, ha lasciato intendere una disponibilità soft: “Se il candidato sarà della Lega, non sarà certo un problema. L’importante è che il centrodestra scelga il nome più forte e condiviso”. Non un via libera, ma neppure uno stop: un’apertura che segnala come la decisione finale non sia ancora stata presa e che, in ogni caso, passerà dalla regia di Giorgia Meloni, unica vera arbitra della partita.
In campo restano così due ipotesi: un candidato leghista, Stefani, a garanzia della continuità con l’era Zaia, oppure un nome di Fratelli d’Italia, come il senatore Luca De Carlo o il capogruppo regionale Raffaele Speranzon, pronti a raccogliere la sfida se la premier decidesse di imprimere un cambio di passo. La dialettica resta aperta, e non è escluso che si arrivi a una sintesi solo a ridosso del voto.
Intanto, la decisione di Zaia di scendere in campo da capolista ha ridisegnato i rapporti interni alla Lega. Da un lato, è un segnale di forza: mobilita la base, rassicura i militanti, impone il marchio veneto sul partito. Dall’altro, introduce un effetto collaterale inatteso, legato al meccanismo del voto di genere. In Veneto, l’elettore può esprimere due preferenze, ma solo se di sesso diverso. Due uomini o due donne annullano la seconda scelta.
Con Zaia capolista
Con Zaia capolista, milioni di schede porteranno già una preferenza maschile. Per non sprecare la seconda, la logica spingerà verso le candidate donne. Così, il traino del presidente rischia di trasformarsi in un vantaggio diretto per le colleghe femminili della Lega, a discapito dei candidati uomini. È una dinamica che potrebbe avere conseguenze pesanti nelle province più competitive, dove bastano poche centinaia di voti per conquistare un seggio. “È il paradosso Zaia – confida un dirigente vicentino –: più è forte, più rischia di penalizzare i nostri candidati uomini. Molti contano su pacchetti di preferenze consolidate, ma se gli elettori vogliono sfruttare la seconda scheda saranno quasi obbligati a orientarsi sulle donne”. Il risultato, per alcuni, potrebbe essere un Consiglio regionale con una rappresentanza maschile ridimensionata, frutto non di un mutamento culturale, ma di un meccanismo elettorale spinto all’estremo dalla popolarità del governatore.
La questione è diventata oggetto di discussione anche nelle segreterie provinciali. Per i vertici leghisti, il rischio è doppio: da un lato garantire l’elezione di un buon numero di donne, dall’altro vedere figure maschili radicate nel territorio scivolare fuori dal Consiglio. Una beffa, se si considera che proprio Zaia era stato chiamato a fare da traino per tutti.
In questo quadro complesso, le parole di Villanova, presidente dell’intergruppo Liga Veneta-Lega, suonano come una chiamata alle armi: “La presenza di Zaia in campo entusiasma i nostri militanti e fa paura agli avversari. Dobbiamo puntare a essere il primo partito del Veneto e a portare Stefani alla presidenza”. Ma i giochi restano aperti, e l’ultima parola spetta a Meloni.
Il Veneto
Il Veneto si conferma così laboratorio politico e campo di battaglia interno al centrodestra. Da un lato, la Lega che prova a blindare la sua roccaforte con il tandem Zaia-Stefani. Dall’altro, Fratelli d’Italia che non intende rinunciare alla possibilità di piazzare un proprio candidato in una delle regioni simbolo del Nord.
Per ora resta l’immagine di un Veneto tappezzato di manifesti, dove il governatore uscente manda un messaggio di continuità. Ma sotto la superficie, il rebus è tutto da risolvere: il candidato sarà un esponente di FdI, come De Carlo o Speranzon, oppure sarà il leghista Stefani? La Russa si è detto possibilista, ma la chiave è nelle mani di Meloni. Nel frattempo, tra i candidati maschi della Lega cresce la preoccupazione: il vero avversario, stavolta, potrebbe non essere il centrosinistra, ma l’effetto collaterale del voto di genere che rischia di premiare le colleghe di lista.
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