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PRIMA PAGINA – Strage di Erba, l’obbligo dei magistrati di trovare la verità

di Marina Cismondi -


È dello scorso 10 marzo la notizia che la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna, da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, nei confronti dell’operato del dottor Cuno Tarfusser, ex sostituto procuratore generale di Milano, ora in pensione.
Il CSM aveva considerato la sua condotta un grave danno all’immagine della magistratura, perché si era affermata l’idea che qualunque magistrato, forte dell’esigenza di ricercare la verità, si potesse arrogare compiti che non gli competevano.
Di quale colpa si è macchiato questo magistrato, sostituto procuratore dal 1985, procuratore capo dal 2001 e per nove anni giudice della Corte Internazionale Penale dell’Aia ?
Lo dice la condanna: la sua esigenza di ricercare la verità sulla strage di Erba, richiedendo, di suo pugno, la revisione del processo.
Verità che ad oggi pare si continui a non voler cercare, dato che la richiesta di revisione del processo è stata respinta lo scorso luglio dalla Corte d’Appello di Brescia. “Credo che il pubblico ministero abbia un compito che va al di là del semplice accusare: ha l’obbligo della verità. Della verità vera, non quella processuale. Se quella processuale non è convincente è suo obbligo cercare la verità vera. Sono stato incuriosito su quanto avevo letto sulla strage di Erba e mi sono messo a studiare gli atti. E più studiavo e più le cose non mi convincevano per niente e quindi sono arrivato al punto di scrivere la richiesta di revisione”, queste le parole del magistrato, in una dettagliata intervista rilasciata a Roberta Bruzzone, sul canale Youtube della criminologa.
La richiesta di revisione presentata da Tarfusser mirava a smontare le tre prove “regine” che, secondo i tre gradi di giudizio, hanno portato Rosa e Olindo alla condanna, “oltre ogni ragionevole dubbio”, all’ergastolo.
La prima prova è la testimonianza dell’unico sopravvissuto alla strage, Mario Frigerio. Strage di una violenza inaudita dell’11 dicembre 2006, che ha portato alla morte Valeria Cherubini, moglie di Frigerio e di altre due donne, Raffaella Castagna e Paola Galli, mamma e nonna di Youssef, quarta vittima di soli due anni.
Frigerio, salvatosi grazie ad una malformazione alla carotide, al suo risveglio in ospedale indica come colpevole un uomo a lui sconosciuto, uno straniero di carnagione olivastra. Ma, dopo una visita dell’allora comandante dei carabinieri di Erba, Luciano Gallorini, indica Olindo, suo vicino di casa, come il suo aggressore.
Al riguardo Tarfusser sostiene : “La visita in ospedale del comandante Gallorini a Frigerio è particolare. Innanzitutto non ha nessuna delega ad andarci da parte del pubblico ministero. E già questo è sbagliato. Lui ci va di sua iniziativa con due ufficiali, che però non firmano il verbale. Questa è una seconda anomalia. Ma la cosa incredibile è che Gallorini suggerisce continuamente a Frigerio il nome di Olindo. Frigerio è stato fortemente condizionato, visto il suo stato clinico e psicologico. In udienza Gallorini dice che non gli ha mai fatto il nome di Olindo, cosa che equivale ad una falsa testimonianza.”
La seconda prova che, secondo la verità processuale, inchioda i due coniugi di Erba è la loro confessione.
“Prima delle confessioni del 10 gennaio c’erano già stati due interrogatori, condotti da quattro pubblici ministeri Si può solo immaginare la pressione ma, nonostante questo, Rosa ed Olindo, in stato di arresto, negano di essere stati loro. Erano due persone facilmente manipolabili ed avendo avuto la garanzia che confessare sarebbe stato il meno peggio che potesse loro capitare, rendono delle confessioni l’uno per salvare l’altro. Solo così si giustifica la successiva convalida del fermo. Ma quello che trovo intollerabile e che gli sono state contestate cose non vere, come dire loro che Frigerio appena sveglio ha detto “è stato Olindo”, questa la durissima disamina dell’ex procuratore generale.
La terza prova”regina” è la macchia di sangue, appartenente alla moglie di Frigerio che sarebbe stata repertata, grazie al “luminol”, sul battitacco dell’auto di Olindo.
Anche su questa, Tarfusser è stato perentorio: “La macchia di sangue sul battitacco è la prova della non colpevolezza di Rosa e Olindo. I Ris hanno fatto accertamenti, analizzato, preso prove, per poi scrivere nella loro consulenza di non aver trovato tracce sul luogo del delitto di Rosa e Olindo e tracce del delitto nella casa e nelle pertinenze dei coniugi. Per me il processo finisce lì, perché non è umanamente possibile che non ci siano tracce. Tracce di altri soggetti presenti sulla scena della strage ci sono e nessuno se ne è occupato e non sono state fatte indagini, cosa che trovo altrettanto vergognosa. La dichiarata macchia di sangue sul battitacco dell’auto di Olindo, in qualunque tribunale anglosassone non sarebbe mai entrata in un processo. Perché abbiamo un verbale non sottoscritto, quindi un atto giuridicamente inesistente, una foto in cui non si vede assolutamente nulla ed una consulenza tecnica che dice che la macchia appartiene alla moglie di Frigerio, ma da dove viene questa macchia non si sa. Un’altra delle follie di questo processo, è una prova che non esiste”
Tarfusser chiude riassumendo: “Abbiamo Frigerio che viene indotto, una macchia di sangue che non c’è ed una confessione che viene fortemente provocata. Cosa resta ? Niente, zero”.
Eppure si continua a voler far credere che due sprovveduti coniugi, un netturbino ed una donna delle pulizie, in carcere da 18 anni, abbiano barbaramente trucidato tre donne ed un bimbo e che, da veri killer professionisti, non abbiano lasciato alcuna traccia del loro crimine.
Il prossimo 25 Marzo la Cassazione deciderà sul ricorso dei difensori dei due coniugi, che hanno richiesto di annullare il rifiuto di revisione del processo.
Si spera che prevalga l’esigenza di cercare la verità. Quella vera.


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