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DRAGHI SEMPRE PIÙ FORTE

di Redazione -


Nonostante le tensioni nella maggioranza

Dopo mesi di quiete, per il governo Draghi le acque cominciano ad agitarsi rendendo più difficile la navigazione che dovrebbe portare l’Italia fuori dalla crisi socio-economica nella quale versa da più di un decennio. Non che l’ex presidente della Bce corra pericoli. Nessuno, nemmeno dall’opposizione, vuole che lasci Palazzo Chigi, anzi. Quasi tutti fanno il tifo perché rimanga al suo posto fino alla scadenza naturale della legislatura, ovvero fino al 2023. Ed anche per questo, pur essendo il più titolato a succedere a Sergio Mattarella, potrebbe essere costretto a rinunciare a salire al Quirinale come nuovo Capo dello Stato. Il fatto è che la “grande ammucchiata” che lo sostiene, che va dalla Lega a LeU, è solo unita dal suo nome, ma non sui programmi da portare avanti in quest’ultimo scorcio di legislatura. Ecco quindi che Matteo Salvini erige delle barricate, in verità deboli, a difesa di quota 100. E Giuseppe Conte si schiera contro l’abolizione del reddito di cittadinanza, bandiera dei cinquestelle, dichiarandosi disposto solo per delle modifiche. Forza Italia, dal canto suo, vuole una riduzione fiscale più sostanziosa rispetto a quella proposta, mentre Pd e LeU cercano di portare avanti le loro battaglie identitarie (ius soli, accoglienza degli immigrati clandestini, lotta al neofascismo) per spostare a sinistra il baricentro del governo e cercare di costringere la Lega ad uscire dalla maggioranza. Chi sperava che, dopo la tornata amministrativa, tornasse la bonaccia tra le forze politiche che sostengono l’esecutivo, si sbagliava di grosso perché, giorno dopo giorno, ci avviciniamo all’appuntamento (a febbraio) quirinalizio, ovvero alle elezioni del nuovo presidente della Repubblica, che vedrà, a meno di clamorosi colpi di scena, una divisione tra i partiti, con conseguente maretta sulla navigazione del governo. In questo contesto, fatto di divisioni e fratture, Mario Draghi avrà i suoi bei problemi da risolvere, ma anche una certezza: pur essendo tutti contro tutti, tutti sono per lui in quanto appare l’unico in grado di rispettare gli impegni assunti con l’Europa per ricevere i sostanziosi aiuti del “Recovery Plan”. Dal buon diplomatico che è, reso più forte dall’esperienza alla guida della Bce, il presidente del Consiglio va avanti per la sua strada, facendo sì qualche concessione a questo o quello, ma senza stravolgere il suo percorso che deve portare l’Italia ad essere protagonista della nuova Unione europea orfana di Angela Merkel. A favore di Draghi giocano anche due fattori più squisitamente politici: la necessità del centrodestra di ricompattarsi dopo la delusione della mancata spallata registrata nelle elezioni amministrative e la ricerca da parte di Enrico Letta di una nuova alleanza di centrosinistra che veda al suo interno anche i cinquestelle sempre meno grillini e sempre più contiani. Le due forze del bipolarismo italiano hanno bisogno di tempo per raggiungere i loro obiettivi; quindi non hanno intenzione di rompere gli equilibri attuali, anche se precari. Nessun disturbo quindi al “manovratore” Draghi. Al massimo qualche puntura di spillo, ma la pelle di Draghi è coriacea. Lo ha dimostrato, se ce ne fosse stato il bisogno, anche recentemente, quando non ha accettato di rinviare a dopo il 15 ottobre l’obbligatorietà del greenpass o del tampone per accedere ai posti di lavoro, rinvio che gli era stato chiesto da più parti ed anche dall’interno della maggioranza governativa. Il presidente del Consiglio è andato avanti diritto per la sua strada ed i fatti gli stanno dando ragione, almeno per il momento. L’Italia, infatti, sembra contenere meglio di tanti altri Stati il divulgarsi del coronavirus e la sua economia ne risente positivamente, raggiungendo percentuali di crescita impensabili fino a qualche tempo fa.

Giuseppe Leone


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