Segnatevi questa data: 9 luglio. Sarà allora che, secondo Ursula von der Leyen, si scriverà la parola fine sulla guerra dei dazi tra Stati Uniti e Unione europea. Con le buone o con le cattive. O, sarebbe meglio dire, in un modo o nell’altro. La presidente della Commissione Ue, giunta in Canada per partecipare al G7, s’è detta pronta a ogni scenario possibile nello scontro tariffario tra le due sponde dell’oceano Atlantico. “Con il presidente Trump ho ribadito l’impegno a trovare una soluzione sui dazi entro il 9 luglio, nel caso il risultato non fosse soddisfacente saremo in grado di rispondere: tutti i mezzi sono sul tavolo”, ha affermato Ursula. Che ha aggiunto: “Nel caso il risultato non fosse soddisfacente, saremo in grado di rispondere: tutti i mezzi sono sul tavolo”. Quando il gioco si fa duro, e di mezzo c’è l’Europa, bisogna guardare a ciò che succede in Germania. Dove il quotidiano economico Handesblatt ha raccolto un’interessantissima voce fuggita dal seno di un non meglio specificato funzionario Ue. Bruxelles, dicono i giornalisti tedeschi, sarebbe pronta ad accantonare i progetti di zero dazi reciproci per accettare una tariffa “complessiva” alla frontiera pari al 10%. E questo per evitare ulteriori e più pesanti ritorsioni sui suoi gioielli economici, ossia automotive e farmaceutica. Al dazio andrebbero, poi, aggiunti gli impegni Ue sul gnl americano (anche sottoforma di ban totale al gas russo) e le aperture rispetto alle normative comunitarie ritenute troppo stringenti per Big Tech e altri settori economici. Se tutto filerà liscio, il 9 luglio sarà celebrato come una vittoria da tutti. Ma, come ogni accordo, lascerà scontenti molti. A cominciare da Jean Claude Juncker che non ha perso occasione, lui che sotto la mannaia dei dazi di Trump c’era già passato nel 2018, per bacchettare chi ha raccolto la sua eredità alla guida dell’esecutivo Ue: “Non ci sarà alcun accordo senza la presenza attiva della presidente della Commissione”, ha affermato in un’intervista rilasciata al Financial Times asserendo di aver incontrato, ai suoi tempi, per ben sette volte il presidente Usa e stigmatizzando il fatto che Ursula von der Leyen, invece, non ha mai avuto un bilaterale vero e proprio, limitandosi solo a qualche scambio di battute a latere di altri eventi internazionali, dall’inizio della crisi tariffaria, delegando tutto al commissario Maros Sefcovic scelta che, per Juncker, s’è rivelata “un errore”.