Risparmio energetico tra sprechi e nuovi pericoli per la produzione
Un tema di cui ormai si parla meno è quello del risparmio energetico; produrre da fonti rinnovabili o utilizzare meno energia per garantire lo stesso livello di benessere, alla fine, vanno nella stessa direzione.
Ma è un discorso che ha ancora una qualche valenza in una situazione abitativa come quella italiana, caratterizzata da un numero enorme di edifici ormai datati e poco efficienti dal punto di vista energetico?
Risparmio energetico: facciamo il punto
Il tentativo più recente, e più pesante, di andare in questa direzione è costituito dal ben conosciuto Superbonus 110%, introdotto dal governo Conte II con l’obiettivo di rilanciare l’edilizia e migliorare l’efficienza energetica degli edifici. Per attuarlo è stata fatta partire una spesa pubblica molto elevata; secondo le stime più recenti, l’intero pacchetto di bonus edilizi ha superato abbondantemente i 100 miliardi di euro. Una cifra che avrebbe potuto essere impiegata per affrontare altre priorità sociali. A beneficiare degli incentivi, in larga parte, sono stati i cittadini con maggiore capacità economica: chi possedeva seconde case, ville, immobili di pregio, ha potuto accedere ai bonus e ristrutturare gratis, mentre le fasce più deboli della popolazione, spesso escluse per limiti tecnici o burocratici, sono rimaste a guardare. Il risultato? Un’ulteriore frattura sociale mascherata da misura progressista.
Dal punto di vista ambientale, i dati sul miglioramento dell’efficienza energetica ottenuta sono risultati alquanto modesti: nonostante l’enorme costo per lo Stato, si stima che solo il 2 ÷ 4% del patrimonio immobiliare italiano sia stato interessato dagli interventi di miglioramento finanziati, palesando l’insostenibilità dell’estensione della misura a percentuali maggiori. La riduzione effettiva di CO2 è risultata minima se confrontata con i costi sostenuti (1,4 milioni di t di CO2 pari allo 0,43% delle emissioni italiane). Nel frattempo, l’effetto domino sul mercato edilizio ha avuto conseguenze serie: l’aumento dei prezzi di materiali e manodopera ha messo creato seri problemi a molte delle stazioni appaltanti pubbliche, rendendo molto più complessa la realizzazione di scuole, ospedali, infrastrutture locali. Il settore privato ha cannibalizzato quello pubblico, con appalti deserti e gare andate a vuoto per i costi fuori controllo. Con la stessa cifra, o parte di essa, lo Stato avrebbe potuto costruire migliaia di nuove case destinandole alle famiglie in difficoltà. Si sarebbe così raggiunto un duplice obiettivo: risparmio energetico e sostegno reale all’emergenza abitativa.
Un’altra grande occasione persa riguarda le reti idriche. Le perdite medie in Italia superano il 30 ÷ 40%, un dato drammatico in tempi di crisi climatica. Con una parte delle risorse spese, si sarebbero potuti avviare piani di ammodernamento delle infrastrutture idriche, evitando il ricorso a impianti energivori come i dissalatori, che richiedono grandi quantità di energia, spesso da fonti fossili.
E poi c’è la sanità. Oggi il SSN soffre una crisi strutturale dovuta a decenni di tagli. Con parte delle destinate al Superbonus, si sarebbe potuto riaprire tantissimi ospedali, assumere almeno 25.000 medici e 50.000 infermieri nei prossimi dieci anni, riportando la sanità pubblica a livelli di efficienza dignitosi.
In sintesi, quella che poteva essere un’opportunità di trasformazione è diventata un’occasione sprecata. Una politica mossa più da logiche di consenso immediato che da una visione strategica. I soldi pubblici sono finiti a privati generalmente benestanti quando, con interventi mirati, si sarebbero raggiunti gli stessi risultati in termini di PIL e avviato a soluzione molti temi oggi caldi. Alla fine, comunque, si è dimostrato che puntare sul risparmio energetico, con la situazione edilizia Italiana dove tutto si conserva per decenni, non è una via percorribile.
Oggi, con le guerre in corso e la necessità di investire ingenti risorse nel settore militare, il problema dei soldi spesi male in passato assume una gravità ancora maggiore. Gravata da un debito enorme l’Italia deve fare delle scelte importanti e, cosa ancora più difficile, provare a perseguirle; sono note le difficoltà a completare i lavori avviati con i fondi PNRR (dei motivi reali di queste difficoltà parlerò in un prossimo articolo). Messo da parte il risparmio energetico su larga scala, per il conseguimento degli obiettivi GREEN, oggi, va molto di moda la parola nucleare.
Guardando agli attuali scenari geopolitici, con i recenti massicci bombardamenti agli impianti nucleari iraniani, emerge che i rischi non riguardano tanto le tecnologie moderne quanto la vulnerabilità di questi impianti verso attacchi esterni attuati con mezzi sofisticati, tipo droni kamikaze. Per il vero qualche tempo fa qualche buontempone ha parlato di metodi estremi per smantellare installazioni nucleari esistenti lamentando l’impossibilità, tutta Italiana, di impiegare la dinamite. Ma, battute a parte, questo problema oggi si pone: è praticamente la prima volta che alcuni impianti nucleari sono presi di mira con armi molto potenti; l’impatto mediatico e simbolico di un attacco a un sito nucleare attivo, in Europa sarebbe devastante. Anche nel caso di danni contenuti, probabilmente si renderebbe necessaria la chiusura e la militarizzazione di tutte le strutture simili. Ecco, quindi, una altro punto su cui discutere quando si parla di nucleare in Italia; un altro argomento che sarà utilizzato per bloccare tutto, ammesso ci sia bisogno di altri argomenti.
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