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Bracco contro Rovelli: duello per l’anima di Fermi

di Ivano Tolettini -


Sul Corriere della Sera si è aperta una lite intellettuale che ha il sapore di un duello d’altri tempi, ma con le regole della comunicazione di oggi: colpi diretti, frasi destinate a circolare sui social e titoli pronti a infiammare il dibattito. Sullo sfondo, Enrico Fermi — il “Papà della fisica” italiana, premio Nobel, padre della reazione nucleare controllata — non più solo simbolo della scienza, ma terreno di scontro tra due personalità forti della fisica contemporanea: Angela Bracco e Carlo Rovelli. Tutto parte da una serie di video pubblicati dal Corriere in occasione dell’anniversario di Hiroshima e Nagasaki. Rovelli, tra i fisici teorici più noti a livello internazionale, inaugura la sequenza con un titolo che è già una provocazione: La cattiva coscienza della fisica. Nell’episodio dedicato a Fermi, loda la grandezza scientifica ma ne critica il silenzio e il ruolo politico durante e dopo il progetto Manhattan. Il giudizio è netto: “Grande scienziato, ma non come cittadino”. Parole che, per un Nobel italiano e icona mondiale, suonano come una sentenza.

ACCUSA E DIFESA

La reazione di Bracco, presidente della Società italiana di Fisica, arriva con un articolo che ha i toni di una requisitoria. Accusa Rovelli di “denigrare” uno dei massimi scienziati del Novecento, di ridurre la complessità storica a un atto d’accusa morale. Ricorda che Fermi fuggì dall’Italia fascista per le leggi razziali che colpivano la moglie, e che negli Stati Uniti portò avanti scoperte decisive non solo per la fisica militare, ma anche per la medicina, l’energia e le tecnologie civili. La sua è una difesa a tutto campo, che trasforma Fermi in un simbolo identitario della comunità scientifica italiana. Rovelli, al contrario, sposta il baricentro sulla responsabilità morale dello scienziato. Non nega il genio, ma insiste sul fatto che Fermi non prese mai posizione pubblica contro l’uso bellico dell’energia atomica, e che il suo entusiasmo per la ricerca finì per assecondare, se non alimentare, la corsa agli armamenti nucleari. La sua critica non è quella di uno storico neutrale: è la posizione di un fisico che, oggi, vede nella mancata presa di parola un difetto di statura civile. È qui che il linguaggio si fa tagliente, parlando di un Fermi non come fosse certo un nazista fascista assetato di sangue sul piano dell’immaginario etico, ma nemmeno come un ideale di cittadino. Dietro le argomentazioni, però, si intravede una questione di protagonismo. Rovelli è abituato a parlare a un pubblico vasto, con un linguaggio divulgativo diretto e provocatorio, capace di trasformare un dibattito accademico in un evento mediatico. Bracco, per contro, rappresenta l’istituzione e sente la responsabilità di proteggere l’immagine della fisica italiana da narrazioni che possano appannarla. Lo scontro, così, diventa anche un confronto tra due ruoli: il divulgatore globale e il custode nazionale.

FERMI TRA MEMORIA E MITO

Il Corriere, consapevole della carica mediatica del contrasto, li mette in pagina uno sopra l’altra, quasi come in un ring tipografico: il titolo di Bracco che accusa (“Rovelli denigra un grande scienziato”) e quello di Rovelli che ribatte (“Era davvero grande ma non come cittadino”). È la coreografia perfetta per una disputa che, al di là della materia trattata, mette in scena due protagonismi contrapposti: da un lato, la legittimazione di Fermi come eroe della scienza; dall’altro, la sua ridiscussione come figura pubblica. E Fermi? La sua figura emerge come prisma che rifrange interpretazioni diverse. Per Bracco, è un uomo che ha contribuito a cambiare il mondo in meglio, vittima delle contingenze storiche e spinto da un desiderio puro di conoscenza. Per Rovelli, è anche il simbolo di una scienza che, pur consapevole dei rischi, ha preferito il silenzio all’opposizione. Il risultato è un duello che dice molto più di quanto sembri. Non è solo una disputa su un personaggio storico: è un confronto su cosa significhi oggi essere scienziati, sul rapporto tra etica e ricerca, sul ruolo pubblico della conoscenza. È anche, inevitabilmente, un episodio di lotta per il controllo del racconto scientifico, dove le parole — soprattutto quelle pronunciate in prima serata mediatica — pesano quanto i dati. Forse, in questo braccio di ferro, la figura di Fermi diventa un pretesto per discutere del presente. Perché se un grande scienziato del passato può essere giudicato non solo per ciò che ha scoperto, ma per come ha vissuto, allora il dibattito non riguarda più solo la memoria: riguarda tutti quelli che, oggi, costruiscono il sapere e decidono quanto di quel sapere mettere a servizio dell’umanità.


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