La violenza lascia “cicatrici” nel Dna: la scoperta dell’Iss che cambierà la prevenzione
La violenza di genere non si ferma al trauma psicologico: modifica il Dna delle vittime attraverso meccanismi epigenetici, lasciando marcatori biologici che possono manifestarsi anche a distanza di anni. Lo rivelano gli studi dell’Istituto Superiore di Sanità, che puntano a una “prevenzione di precisione” per contrastare patologie croniche e disturbi mentali. La violenza subita lascia tracce profonde nel corpo, oltre che nella mente. Le “cicatrici” più insidiose sono quelle scritte nel Dna, capaci di condizionare la salute delle vittime per decenni. È quanto emerge dagli studi dell’Istituto Superiore di Sanità, che sta indagando come il trauma della violenza di genere possa modificare anche il funzionamento dei geni attraverso l’epigenetica. In Italia, il 31,9% delle donne tra i 16 e i 75 anni – quasi una su tre – ha subito almeno una violenza nella vita. Nel 2024, gli accessi al pronto soccorso per violenza sono aumentati del 13,3%, raggiungendo 19.518 casi. Ma oltre ai traumi immediati, la violenza lascia conseguenze che la medicina sta solo ora iniziando a comprendere.
Il trauma diventa biologia
L’epigenetica studia come l’ambiente e le esperienze possano influenzare l’attività dei geni senza alterarne la sequenza. Il codice genetico rimane lo stesso, ma alcuni geni vengono “accesi” o “spenti” in risposta a determinati fattori esterni. La violenza è uno di questi: un’esperienza così estrema da lasciare una firma molecolare nel Dna. Lo studio pilota “Epigenetica per le donne” (EpiWE), avviato nel 2016 dall’Iss in collaborazione con l’Università di Milano e il Policlinico di Milano, ha analizzato 62 donne vittime di violenza. I risultati hanno evidenziato marcatori epigenetici specifici, in particolare l’ipermetilazione di tre geni coinvolti nella plasticità cerebrale, associati al disturbo da stress post-traumatico. “La violenza influisce sulla salute del genoma in modo tale che i suoi effetti si manifestano anche 10-20 anni dopo”, spiega Simona Gaudi, coordinatrice del progetto EpiWE. Una memoria biologica del trauma che aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, diabete, patologie autoimmuni e alcuni tumori.
Il disturbo da stress post-traumatico
Oltre la metà delle donne che hanno subito violenza sviluppa il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), caratterizzato da flashback, incubi, ansia pervasiva e ipervigilanza. Le vittime rivivono continuamente l’esperienza traumatica, con ricordi che compromettono relazioni, lavoro e qualità della vita. Nella popolazione generale, il PTSD colpisce dall’1% all’8,7% delle persone, con prevalenza doppia tra le donne. Ma tra le vittime di violenza questa percentuale sale al 50-70%. Lo studio EpiWE ha identificato marcatori specifici associati al PTSD, aprendo la possibilità di individuare precocemente chi è a maggior rischio e di intervenire con terapie mirate.
Dalla ricerca alla prevenzione
Nel 2024, l’Iss ha avviato la fase multicentrica del progetto EpiWE, sostenuto dal Ministero della Salute. L’obiettivo: studiare l’intero epigenoma delle vittime di violenza, coinvolgendo molte più donne e seguendole nel tempo. La nuova fase coinvolge sette unità operative in cinque regioni (Lazio, Lombardia, Campania, Puglia, Liguria) e prevede una biobanca per la raccolta di campioni biologici. Le donne che accedono a pronto soccorso, centri antiviolenza e case rifugio vengono invitate a donare un campione di sangue, con possibilità di eventuali controlli successivi. “Studiare l’intero epigenoma potrebbe essere predittivo per gli effetti a lungo termine della violenza”, sottolineano le ricercatrici Gaudi e Falzano. Analizzando il profilo epigenetico, si potrebbe stimare la suscettibilità a sviluppare specifiche malattie e intervenire tempestivamente: è la “medicina di precisione” applicata alla violenza di genere.
Una rete per la prevenzione
La violenza richiede un approccio integrato. L’Iss sta lavorando proprio a un sistema che collega dati da Istat, Ministero della Salute, centri antiviolenza e numero verde 1522. Nel 2019 è nata la “Banca dati sulla violenza di genere” per monitorare questa “pandemia silente”. Le donne che hanno subito violenza hanno probabilità doppia o tripla di sviluppare problemi di salute. Eppure solo una vittima su cinque si rivolge ai servizi sanitari, e solo una su otto denuncia. Il progetto EpiWE punta a rafforzare la rete territoriale per una presa in carico precoce e di lungo periodo.
Le cicatrici della violenza sono scritte nel Dna. Ma proprio da questa scoperta può partire una nuova strategia di cura e prevenzione, capace di riscrivere il futuro delle vittime.
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