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“La moda adattiva è vera sfida economica e sociale”. Intervista all’imprenditrice Elisa Zigno

di Marco Montini -


In Italia il tema della moda adattiva sta emergendo come nuova frontiera dell’inclusione, ma il settore sembra ancora poco sviluppato dal punto di vista produttivo. Seppur se ne parli sempre più spesso nei dibattiti e nelle ricerche. In questo scenario si colloca l’impegno imprenditoriale di Elisa Zigno, laureata in Economia e Commercio all’Università di Padova, con un percorso professionale maturato nel mondo degli acquisti per aziende del retail italiano. Competenze che le hanno permesso di conoscere in profondità la filiera, i materiali e i processi di produzione. E così nel 2024 decide di dedicarsi allo sviluppo di capi adattivi per l’infanzia, un ambito che richiede ricerca e sensibilità progettuale. 

Dottoressa Zigno, lei è imprenditrice della moda adattiva. Di cosa si tratta? Qual è il suo valore sociale? 

La moda adattiva è un modo nuovo di progettare l’abbigliamento: non si parte dall’estetica, ma dal bisogno. Significa creare capi che facilitino l’autonomia di bambini e bambine attraverso soluzioni pensate per semplificare i gesti quotidiani: zip che si chiudono anche con una sola mano, assenza di “barriere” come bottoni o lacci, tessuti morbidi e sicuri. Il valore sociale è enorme, perché un capo può diventare uno strumento di libertà. La moda adattiva sostiene la crescita, riduce la frustrazione e migliora la qualità della vita. È un ambito in cui design e inclusione si incontrano in modo concreto”.

In Italia il tema sta emergendo come nuova frontiera dell’inclusione, ma il settore produttivo resta poco sviluppato. È d’accordo? 

“Molto. Negli ultimi anni si parla sempre più spesso di accessibilità e design inclusivo, ma la produzione reale è ancora limitatissima. L’Italia ha una filiera sartoriale di altissimo livello, ma la moda adattiva richiede una progettazione più complessa, tempi più lunghi e un’attenzione diversa alla funzionalità. È un settore che non si presta alla produzione di massa. Ecco perché, nonostante l’interesse crescente, solo pochissime realtà scelgono davvero di cimentarsi con la produzione”. 

Perché così poche aziende decidono di investire nell’abbigliamento funzionale? “Perché è una vera sfida imprenditoriale. Produrre moda adattiva Made in Italy significa sostenere costi più alti rispetto all’abbigliamento tradizionale: materiali certificati, zip e chiusure speciali, prototipazione continua, prove con bambini e famiglie. Ogni capo richiede studio e precisione. Inoltre, i laboratori italiani lavorano spesso in piccole quantità, e questo incide ulteriormente. È più semplice trattare la moda adattiva come un tema culturale che affrontare la complessità produttiva. Io invece ho scelto di accettare questa sfida: la mia realtà è oggi una delle pochissime in Italia che produce realmente capi adattivi per l’infanzia. Credo che senza produzione non ci sia innovazione, e che l’inclusione debba passare attraverso soluzioni concrete”.

Lei è stata parte del direttivo di ASSI Gulliver. Quanto l’ha influenzata quell’esperienza nel suo percorso personale e imprenditoriale? “In modo decisivo. L’esperienza nel direttivo di ASSI Gulliver mi ha permesso di confrontarmi con le necessità reali di molte famiglie. Mio figlio vive con una malattia genetica rara e da lui è nato il progetto che oggi porta il suo nome. Osservandolo, e ascoltando tanti altri genitori, ho capito quanto anche i gesti più semplici possano diventare difficili se mancano soluzioni adeguate.

Questa consapevolezza ha trasformato il mio modo di progettare: l’inclusione non è un concetto teorico, ma una responsabilità concreta. Il progetto che porto avanti è un’impresa, certamente, ma non può essere separato da una missione sociale. La moda adattiva richiede ricerca, investimenti, competenze tecniche; allo stesso tempo, ha senso solo se risponde a bisogni veri e se migliora la vita delle famiglie. La mia visione è proprio questa: unire design, Made in Italy e impatto sociale, dimostrando che la moda può essere uno strumento di autonomia. L’esperienza con ASSI Gulliver mi ha insegnato che ogni dettaglio progettuale può diventare un pezzo di libertà. Ed è questo il motore del mio lavoro”.


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