Economia

MESSI ALLE STRETTE

di Giovanni Vasso -


Inesorabile, l’Ue lunedì metterà Giorgetti con le spalle al muro: o si firma il Mes, oppure l’Italia si scordi pure la flessibilità sui fondi. Lunedì è il gran giorno. In agenda c’è l’eurogruppo. Si parlerà di tante cose. Degli aiuti di Stato, per esempio. Delle scelte per tentare di rispondere all’offensiva protezionista Usa dell’Ira. Ma ci sarà spazio per un’importante questione. Che riguarda solo l’Italia. Quella relativa alla firma del Mes. Dopo le parole di Paolo Gentiloni, pronunciate qualche settimana fa, arrivano le indiscrezioni, debitamente lasciate trapelare, che inchiodano il ministro Giorgetti con le spalle al muro. Questo regolamento s’ha da firmare a tutti i costi.
Le voci che arrivano da Bruxelles, attribuite a qualche “alto funzionario” sono chiarissime. E non ammettono deroghe. Il presidente irlandese dell’eurogruppo Paschal Donohoe chiederà al governo italiano di concretizzare l’impegno che, due anni fa, le istituzioni si sono prese con l’Ue. “Il presidente dell’Eurogruppo è molto impegnato nel portare a termine il processo”, sibilano dalle istituzioni comunitarie. E conta molto sul “messaggio” che dovrà arrivare da Roma con il sì, concreto, alla ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Non chiacchiere, come potrebbe sembrare. Ma una sorta di avvertimento, eloquentissimo. Che fa il paio con le frasi pronunciate dal commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni in tv, nel salotto di Otto e mezzo su La7. Secondo l’ex premier: “Se l’Italia fosse l’unico paese che non ratifica il Mes ci sarebbe un danno di reputazione”. E dunque ha aggiunto: “Non spetta a me dire cosa deve fare il governo italiano”. Che, in linea teorica, non è così favorevole al Mes. Anzi, specialmente da destra e perfino dalla Lega, la polemica contro il Meccanismo europeo di stabilità è sempre stata feroce.
Una sponda, a Meloni e quindi anche a Giorgetti, era arrivata – nelle settimane scorse – dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi. “Se vuole fare una battaglia per la trasformazione del Mes in un fondo per la competitività europea, Confindustria c’è”, aveva detto dall’assemblea degli industriali di Savona: “Il Mes Roma l’ha già firmato: l’Italia è impegnata per 125 miliardi, di cui 14 li ha già versati e non li sta utilizzando. Se il problema è che il Mes non è più consono agli obiettivi che ci siamo dati, andiamo in Europa. È nell’interesse del Paese creare fondi di capacità europei per le sfide della competitività”.
Sul piatto, però, l’Ue potrebbe mettere un’offerta che non si può rifiutare. Cioè confermare la flessibilità sui fondi. Del resto, questo è stato il tema dell’incontro tenutosi a Roma, nei mesi scorsi, tra Meloni e Von der Leyen. E con il direttore del Mes, Pierre Gramegna che, per inaugurare il suo mandato, ha voluto tenere il primo incontro istituzionale nella nuova veste proprio con il capo di governo italiano. Ci sono pochissime cose sulle quali l’Europa non transige. Il Mes è una di queste. La premier, a gennaio scorso, si era auspicata una riforma che ne facesse “uno strumento effettivamente capace di rispondere alle esigenze delle diverse economie”. Una cosa è la firma, l’altra è l’accesso ai fondi. Che, al governo, era “caldamente” consigliato dall’area centrista del Terzo Polo per rimettere a posto i conti della sanità. Ma Meloni, a dicembre, aveva pure preso un (altro) impegno solennissimo: “L’Italia non accederà mai al Mes, lo firmo col sangue”.


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