Abel Braga nella bufera: “Quelle maglie rosa no, sembrano da gay”
Il calcio come religione, lo scandalo come eresia
In Brasile il calcio non è solo un gioco: è un rito collettivo, l’identità nazionale, quasi una materia sacra. Per questo ogni parola, ogni gesto di chi lo rappresenta pesa come una sentenza e risuona nel mondo. E quando a pronunciare una frase storta è un’icona come Abel Braga, 63 anni, allenatore dell’Internacional di Porto Alegre, il rumore non rimane confinato tra le mura degli spogliatoi: diventa, giustamente, un terremoto mediatico. L’episodio, riportato da vari media locali e amplificato dai social, riguarda un commento del tecnico che avrebbe criticato l’allenamento dei suoi giocatori in tenuta rosa perché, a suo dire, “sembrano dei gay”.
Parole che hanno immediatamente generato un’ondata di incredulità e indignazione, dentro e fuori dal mondo LGBTQ+, e che hanno riaperto una ferita che il calcio sudamericano faticherà non poco a rimarginare. Eppure, la maglia – quella rosa – è stata pensata come gesto di solidarietà, segno di vicinanza a chi subisce violenza, ad associazioni contro il tumore al seno, a lotte contro discriminazioni e pregiudizi. Eppure, per qualcuno diventa bersaglio di scherno, di “provocazione comica”.
Lo spogliatoio si trasforma in tribunale mondiale
Le dichiarazioni attribuite a Braga non sono una semplice gaffe estemporanea. In un ambiente in cui la mascolinità viene spesso declinata in chiave tossica, quel “sembrano dei gay” suona come un giudizio di valore, un marchio, un insulto vero e proprio poi mascherato da battuta. Il tecnico, figura storica del calcio brasiliano, è finito così al centro di una gogna mediatica che non accenna a placarsi. Il suo commento è stato letto come l’ennesimo episodio di un problema: la convivenza, non sempre pacifica, tra il mondo del pallone e la comunità LGBTQ+. In poche ore, come prevedibile che accadesse, il caso è rimbalzato ovunque: editoriali infuocati, hashtag virali, tifosi indignati, colleghi che prendono posizione e distanze. Alcuni difendono Braga parlando di “frase infelice”, altri non gli concedono attenuanti: “È omofobia, punto”.
La posizione presa dalla squadra
L’Internacional ha scelto inizialmente la via del silenzio, una strategia che in Brasile spesso equivale a una condanna implicita. Ma intorno alla squadra e al suo allenatore si è aperto un dibattito più grande: può il calcio, sport popolare per eccellenza, continuare a essere un territorio ostile per chi non rientra nei canoni tradizionali della virilità? Molti sottolineano come le parole attribuite a Braga riflettano un linguaggio comune, radicato, che spesso passa inosservato finché non viene amplificato dai microfoni. Un linguaggio che però, oggi, non può e non deve essere ignorato.
In un Brasile attraversato da tensioni politiche e culturali, il caso Braga diventa un simbolo: quello di un paese che prova a fare i conti con sé stesso, con le proprie contraddizioni e con un’idea di mascolinità che resiste al cambiamento.
La reazione della comunità LGBTQ+: “Non è solo una maglia, è rispetto”
Le associazioni LGBTQ+ brasiliane si sono mosse rapidamente, chiedendo al tecnico scuse ufficiali e programmi di sensibilizzazione all’interno dei club professionistici. Per molte di loro, il punto non è il colore della maglia, ma l’uso dell’omosessualità come insulto, come qualcosa da cui prendere le distanze. “Quando un allenatore dice che non vuole uomini in rosa perché “sembrano gay”, sta dicendo implicitamente che essere gay è un problema”, spiegano. “Questo alimenta stereotipi e violenze”. Il messaggio è inequivocabile: nel calcio del futuro non c’è spazio per discriminazioni normalizzate, né per battute capaci di legittimare un clima ostile verso chi non si conforma alle regole non scritte dello spogliatoio.
E ora cosa succede? Il futuro di Abel Braga tra scuse e riflessioni
Mentre l’onda mediatica prosegue, resta da capire come reagirà il diretto interessato. Saranno necessarie parole di chiarimento, forse scuse, probabilmente un’assunzione di responsabilità che vada oltre la difesa dei dirigenti della società. Il rischio, per Braga, non è solo disciplinare o del danno reputazionale: è quello di rimanere intrappolato in una pagina amara della sua lunga carriera.
Il peso delle parole
Perché oggi, più che mai, il calcio brasiliano – e il mondo intero – pretendono che chi ha un ruolo pubblico comprenda il peso delle proprie parole. E in fondo, il nodo difficile da sciogliere è tutto qui: non una maglia rosa, ma la capacità di un ambiente tradizionalista di evolversi, di aprirsi, di accettare che il calcio non è proprietà esclusiva di un modello di mascolinità. La partita più complessa, quella vera, comincia adesso.
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