Economia

Bevilacqua, spese militari al 5%: tra opportunità di razionalizzazione di spesa e implementazione “economica della sicurezza” per tecnologie ad uso nazionale

di Redazione -


“Non è tutto oro quel che luccica e non è sempre un male ciò che viene proposto come una scelta esterna” così Nunzio Bevilacqua giurista d’impresa ed esperto economico internazionale a valle della decisione NATO di innalzare le spese militari al 5% al 2035.

“Innanzitutto non parliamo di ‘economia di guerra’ come quella, per intenderci, oggetto dell’annuale summit economico di San Pietroburgo, terminato qualche giorno fa, ma di una ben differente, non solo a livello terminologico, ‘economia di difesa’”.

“La decisione presa, con la sola ‘anomalia spagnola’ non trasformatasi in veto ma non credo priva di conseguenze sul breve-medio periodo, non solo ritengo possa essere assolutamente sostenibile, senza imposizioni aggiuntive per il nostro Paese, ma che possa trasformarsi in una ‘opportunità’ per verificare, in primis, le ancora numerose inefficienze della PA – tra cui molteplici  ‘enti di dubbia utilità’ o a duplicazione operativa – sottoponibili a tagli di spesa senza alcun impatto sociale ed inoltre, per una componente, coadiuvare una produzione Made in Italy per la sicurezza e rendere più tecnologico il ‘contesto interno’ “

“Oggi la Presidente Giorgia Meloni potrebbe rappresentare al premier spagnolo, Pedro Sánchez, le ripercussioni su ciascuno dei Paesi Ue, già sul medio-breve termine, di un disallineamento, anche di un singolo Stato in ambito Nato; equilibrio che oggi ha trovato, faticosamente in seno all’Europa, una forma di ‘convergenza’ non priva di fragilità nella fase attuativa dei prossimi anni”.

Ancora l’esperto “ cerchiamo di trovare ‘l’opportunità economica interna’, come lo sta facendo d’altronde la Germania dando nuova propulsione alla sua industria nazionale siderurgica, da una necessità internazionale derivante dal far parte di un contesto specifico”.

Prosegue Bevilacqua “l’economia internazionale (e le commodities con la loro innata volatilità) crede maggiormente a policy makers risoluti benché non propriamente ‘inclusivi’ che a politiche eccessivamente riflessive, spesso inefficaci, per rispondere ai tempi, sempre più rapidi, di risposta che si richiedono oggi alla politica economica”.

Alla domanda dell’Ucraina meglio in Nato o in Unione Europea l’esperto conclude “dipende da chi sarà a decidere la fine del conflitto ma non ritengo che un ingresso nell’Unione Europea sia un qualcosa di positivo per una UE che nasce e dovrebbe ‘crescere’ come una unione di radici comuni e culture giuridiche assimilabili (già con grosse perplessità ad oggi) più che come una Alleanza di Difesa per cui la massima espressione è rappresentata dalla NATO”


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