Attualità

Caccia al tesoro

di Giovanni Vasso -

MARINA ELVIRA CALDERONE, GIANCARLO GIORGETTI


Senza migranti, l’agricoltura e l’allevamento italiano si fermerebbero. All’istante. Secondo le stime di Coldiretti, infatti, un prodotto agricolo su quattro è raccolto da stranieri e più del trenta per cento dell’intero ammontare delle giornate lavorative nel settore primario sono fornite da braccianti e operai che arrivano in Italia da ben 164 Paesi diversi. I campi e le stalle italiane sono, sempre, alla ricerca di lavoratori. Ma non si può pensare che l’agricoltura italiana sia alla ricerca di personale poco formato, tutt’altro. Non si trovano addetti perché, troppo spesso, mancano le competenze. Il tema, dunque, ha ora un nome e un cognome: decreto flussi. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, intervenuto a Roma a Tgcom24Tour, ha spiegato che il governo ha intenzione di “favorire l’immigrazione regolare con viaggi che non siano a rischio”. Dunque ha sottolineato che per l’esecutivo è necessario “far venire in Italia persone che hanno già un’occupazione certa nel campo dell’agricoltura o dell’industria, formati a casa loro. Possiamo portarne decine di migliaia perché le nostre aziende hanno bisogno di manodopera”. Lavoratori, dunque, che abbiano già un’occupazione certa. Ciò sottintende una certa formazione e la volontà di eliminare le sacche di disperazione e di sfruttamento.
Non solo agricoltura, però. L’apporto dei migranti all’economia italiano è centrale. Da un lato offrono manodopera a buon mercato, dall’altra alimentano il commercio tant’è vero che cresce il numero sempre più alto di titolari stranieri di negozi e attività nei centri cittadini. Persino i luoghi della socialità, a cominciare dai bar, sono in mano a negozianti esteri. In Emilia Romagna e in Lombardia, per esempio, il 20% è intestato a persone di nazionalità non italiane. Crescono, inoltre, i negozi etnici, spesso e volentieri rivolti ai connazionali, con lo stabilizzarsi e il crescere delle comunità straniere nelle città. Un tesoro, vero e proprio, per il governo. E, specialmente, per il Mef. Grazie al protagonismo delle comunità migranti, il ministro Giancarlo Giorgetti spera di raggranellare introiti, in tema di tasse, che possano rimpinguare le casse, sempre esauste, dello Stato. Inoltre, non è da trascurare l’apporto che la forza lavoro straniera garantisce all’industria italiana. Che, insieme all’agricoltura,
Nelle scorse settimane, il governo ha approntato un nuovo decreto flussi che prevede l’ingresso in Italia di 82.705 persone. Si tratta di 13.005 “posti” in più rispetto all’anno passato, quando furono previsti 69.700 nuovi ingressi. Coldiretti riferisce che, di questi, 44mila sono attesi dal lavoro nelle campagne (nel 2022 furono 42mila). Tra loro, inoltre, 1.500 potranno richiedere il nullaosta stagionale pluriennale che consentirà alle aziende, come riferisce l’associazione datoriale agricola, di “non essere vincolate ai termini di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Dpcm per avere accesso all’autorizzazione”.
Coldiretti ha inoltre tracciato l’identikit del lavoratore straniero nel settore primario: “Sono per la maggior parte provenienti da Romania, Marocco, India e Albania, ma ci sono rappresentanti di un po’ tutte le nazionalità. Si tratta soprattutto di lavoratori dipendenti a tempo determinato che arrivano dall’estero e che ogni anno attraversano il confine per un lavoro stagionale per poi tornare nel proprio Paese spesso stabilendo delle durature relazioni professionali con gli imprenditori agricoli”. Relazioni che presuppongono un rapporto che si evolve. Anche perché, secondo quanto ha riferito a Repubblica Lodovico Giustiniani, presidente di Confagricoltura Veneto, non vale l’equazione migrante uguale bracciante. “La manodopera in agricoltura è un’emergenza drammatica, ma non si risolve scaricando navi di migranti nelle campagne italiane. Servono trattoristi, o manovratori di mietitrebbia, macchine vendemmiatrici e mungitrici: ma per questo occorre formazione, una patente, corsi sulla sicurezza”. E quindi ha aggiunto: “Un polacco a fine stagione torna a casa. Un siriano quando termina la vendemmia dove va e di cosa vive? Prima di dare i numeri di accoglienza e lavoro è necessario parlare di formazione, alloggi e welfare. Chi viene da lontano non può fare il pendolare e ha diritto di portare con sé la famiglia”.
Ma il governo ha giurato che nessuno ha intenzione di creare un bacino di disperati a cui attingere alla bisogna. E, anzi, la lotta al caporalato è una delle priorità che l’esecutivo si è imposta di seguire. Lo ha promesso il ministro all’agricoltura, Francesco Lollobrigida, che a un’iniziativa proprio di Coldiretti ha dichiarato: “Non sono dell’idea che con il decreto flussi si importano degli schiavi, ritengo un abominio un’idea del genere, significa invece che a quelle persone che sto facendo venire gli sto offrendo lavori dignitosi e se sono dignitosi per loro perché non sono dignitosi per una persona abile al lavoro e si rifiuta di farli ? Non lo vuoi fare e non lo fai ma non puoi pensare di gravare sulle spalle di chi accetta di farlo, lavora, fatica, paga le tasse per tenerti sul divano o lavorare in nero, questo non si può fare”. E si è impegnata il ministro del Lavoro, Marina Calderone, che a dicembre scorso, ha adottato il piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso. Uno degli obiettivi del Pnrr ma, soprattutto, una strategia per combattere contro chi specula sulla povertà e sulla disperazione. A febbraio scorso, in occasione della presentazione delle attività per il 2023 dell’Inl e il consuntivo per il 2022, Calderone aveva incoraggiato l’Ispettorato del Lavoro a proseguire i controlli, sempre più serrati e a rafforzare il dialogo con il Ministero. “Tre morti al giorno sul lavoro è un numero che il nostro Paese non può permettersi: occorre far crescere il numero degli ispettori tecnici operativi. È importante che questa Commissione si riunisca più volte durante l’anno, perché rappresenta un momento di incontro e di interlocuzione per soluzioni concertate e un monitoraggio continuo”.


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