Chico Forti può ora lavorare fuori dal carcere: via libera a corsi e volontariato
Chico Forti può ora lavorare fuori dal carcere. Il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha concesso nuovi permessi all’imprenditore trentino, detenuto nel carcere di Verona dopo il rientro in Italia dagli Stati Uniti, autorizzandolo a svolgere attività lavorative esterne, formazione professionale e volontariato. Una decisione che segna un cambio di passo rispetto allo stop arrivato nei mesi scorsi sulla richiesta di liberazione condizionale.
Lavoro esterno, corsi e attività sociali
Nel dettaglio, Chico Forti potrà uscire dal carcere per:
- svolgere un’attività lavorativa esterna;
- frequentare un corso di formazione professionale per pizzaioli;
- fare volontariato a favore di persone anziane;
- insegnare windsurf a persone con disabilità.
Si tratta di un ampliamento delle misure già concesse nei mesi passati. Da giugno Forti frequentava le aule studio interne al carcere grazie a un permesso, mentre da febbraio poteva recarsi a Trento per visitare la madre anziana.
Il precedente no alla liberazione condizionale
Solo tre mesi fa il Tribunale di Sorveglianza di Venezia aveva respinto una prima richiesta, motivando la decisione con l’assenza di segnali di responsabilizzazione. In particolare, i giudici avevano evidenziato la mancanza di “sentimenti di colpa o di autentico dispiacere” nei confronti dei familiari della vittima, oltre al mancato risarcimento, anche parziale, del danno.
La nuova decisione non riguarda la liberazione condizionale, ma apre comunque a un percorso di progressiva reintegrazione attraverso attività lavorative e sociali.
Il rientro in Italia e le polemiche
Condannato nel 2000 all’ergastolo negli Stati Uniti per l’omicidio dell’imprenditore Dale Pike, Forti è rientrato in Italia al termine di una trattativa politica tra il governo guidato da Giorgia Meloni e l’amministrazione statunitense di Donald Trump.
Il suo arrivo a Pratica di Mare, accolto personalmente dalla presidente del Consiglio, aveva suscitato forti polemiche, alimentate anche dalle dichiarazioni di Forti sul presunto trattamento di favore ricevuto in carcere.
Le ombre ancora sul caso
Il nome di Forti resta legato anche a segnalazioni emerse lo scorso anno: secondo una relazione interna, un detenuto avrebbe riferito l’intenzione di Forti di contattare ambienti della ’ndrangheta per intimidire alcune voci critiche, tra cui il giornalista Marco Travaglio, la scrittrice Selvaggia Lucarelli e il sindacalista Aldo Di Giacomo.
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