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La propaganda travestita da solidarietà: Gaza e le altre guerre raccontate da chi non c’era

Abbiamo creduto a voci sotto le bombe, erano server che ridevano dall’altra parte del mondo

di Andrea Fiore -


Sembrava un dettaglio tecnico, un pulsante in più su X per combattere lo spam. Invece quel piccolo bottone, Informazioni su questo account, ha aperto una voragine. Bastava cliccarlo per scoprire che molte voci che si presentavano come testimoni diretti della guerra a Gaza non erano affatto lì. Il padre di sei bambini che diceva di scrivere da un campo di sfollati postava dal Bangladesh. L’infermiera di Khan Younis era in Pakistan. Il poeta che raccontava di scrivere alla luce delle candele era in Russia. Persino i profili che si spacciavano per combattenti di Hamas o soldati israeliani operavano da Londra o Malesia.

Disinformazione sulla guerra Gaza: il palcoscenico digitale della tragedia

Non era un gioco di pochi impostori. Era un sistema organizzato, bot farm attive da mesi, capaci di trasformare la tragedia in un palcoscenico digitale. Racconti di dolore usati come sceneggiatura per raccogliere donazioni fasulle e diffondere propaganda. Emozioni confezionate come merce, vendute al pubblico globale che, in buona fede, condivideva e donava.

E non è la prima volta. Durante la guerra in Ucraina, profili falsi hanno diffuso immagini di videogiochi spacciandole per bombardamenti reali. Nella crisi siriana, account anonimi hanno raccontato di vivere sotto assedio mentre postavano da altri continenti. In ogni conflitto, la disinformazione digitale diventa un’arma parallela: non colpisce i corpi, ma la fiducia.

Lo specchio crudele della tecnologia

Il nuovo strumento di X non è un semplice gadget di trasparenza: è uno specchio crudele. Ci mostra che dietro le parole di chi dice di vivere sotto le bombe può nascondersi un operatore di propaganda dall’altra parte del mondo. E ci ricorda che la solidarietà, se non vigilata, diventa un’arma contro chi la esercita.

La lezione è amara. Abbiamo creduto di ascoltare voci spezzate dalla guerra, ma erano server che ridevano lontano. La tecnologia ci ha regalato la prova che la nostra empatia può essere manipolata come un abbonamento mensile al teatro dell’inganno. La vera domanda non è più “chi parla da Gaza”, ma “chi sta sfruttando la nostra fiducia”. E la risposta, purtroppo, è che la guerra digitale non ha confini: si combatte ovunque, e il campo di battaglia siamo noi.

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