Attualità

Disturbi dell’apprendimento: come individuarli a scuola e in famiglia

di Priscilla Rucco -


“Individuare il disturbo di apprendimento in un ragazzo o un bambino implica difficoltà insite nell’interpretare le manifestazioni del disturbo stesso”. A dirlo è Patrizia Marletta, pedagogista, logopedista e consulente familiare che dal 1978, si occupa delle discipline per la riabilitazione dei disturbi del linguaggio, dell’udito, dell’apprendimento e della riabilitazione dei disturbi dell’apprendimento.
Secondo Marletta: «L’osservazione attenta dell’iter di apprendimento a scuola può certamente determinare un punto di svolta nel saper distinguere tra semplici manifestazioni di un carattere poco incline allo studio e vere e proprie difficoltà afferenti, ad esempio, alla lettura. L’espressione con la quale spesso si etichettano gli allievi è quella per cui il mancato conseguimento di tale competenza è demandata ad un esercizio di lettura inefficace piuttosto che alla neurodiversità che determina un funzionamento diverso rispetto ai compagni, diagnosticato quale dislessia.

Risulta dunque riduttivo dire: “Non leggi bene perché non leggi tanto”: è disfunzionale al processo di apprendimento la cui centralità è l’individuo nel complessodi emozioni che lo compongono. La famiglia ha un ruolo determinante nella definizione di un profilo di apprendimento che rinvii alla richiesta di una diagnosi: le perplessità derivanti da un atteggiamento oppositivo nei riguardi della scuola, in termini di partecipazione, frequenza e consegne, devono guidare la famiglia ad una richiesta di aiuto, spesso bloccata. Il quesitonel processo di apprendimento è: “Come capire se un allievo ha un disturbo dell’apprendimento?” La famiglia e la scuola possono trovare un punto di incontro in un’analisi compiuta in due contesti diversi: una lettura stentata, lenta o scorretta; una comprensione errata o imparziale, sono evidenti campanelli d’allarme che distolgono dalle facili considerazioni imputabili ad atteggiamenti del carattere piuttosto che a Bisogni Educativi Speciali. Occorre dunque spostare il punto di osservazione sulla difficoltà in modo che dalla rilevazione di “errori”, famiglia e scuola convergano sull’analisi di un disturbo.

La disortografia o la disgrafia lanciano segnali di un percorso di apprendimento accidentato per il quale l’atto dello strappare il foglio o il rimprovero sortiscono un effetto inefficace e disistima. La stessa percezione di fallimento coinvolge l’acquisizione delle competenze aritmetiche: tabelline e numeri sono spesso pura astrazione tale da alimentare ancor più quel senso di inadeguatezza che l’allievo con BES percepisce. Il rapporto sinergico scuola-famiglia rimanda poi allo Stato che, attraverso le Asl o Centri Accreditati, permette di dar voce alle perplessità che possono sostenere il percorso di apprendimento. Spesso accade che la rilevazione di una difficoltà impatti negativamente la famiglia per cause imputabili a stereotipia o a una totale assenza di fiducia nei docenti. Tale atteggiamento spesso evidenzia l’incapacità dei genitori a seguire le attività scolastiche dei propri figli, per lo più per esigenze lavorative. Si demanda alla scuola ogni tipo di aiuto ma, di fronte all’evidenza di una difficoltà la famiglia si ritrae. La mancanza di fiducia nell’operato degli insegnanti si traduce in un’acutizzazione del senso di frustrazione dei ragazzi.

Il termine “educare”, dal latino “ex-ducĕre”, rinvia al significato del “trarre fuori” un complesso di elementi utili a definire lo status di “allievo”: dislessia, disortografia e discalculia ne sono parte, tratti distintivi di un processo di apprendimento unico che nella didattica inclusiva trova la sua modalità di espressione. Non bisogna sanzionare per un tratto irregolare, per una lettura disfunzionale, ma bisogna includere l’allievo ponendolo al centro del percorso di apprendimento. Quando mi raccontano di episodi in cui sono stati ripresi per la grafia, penso che ciò non accadrebbe se fossero claudicanti. Il disturbo dell’apprendimento invece induce gli adulti a un facile biasimo. La negligenza degli allievi con Bes se non affrontata adeguatamente, provoca conseguenze negative sul piano didattico, psicologico e sociale. La diagnosi precoce consente loro serenità operativa ed emotiva funzionali al successo formativo. La personalizzazione dell’apprendimento ufficializza un processo lontano nel tempo, quello per cui i docenti hanno cura per gli allievi.

La normativa attinente l’ inclusione, affianca l’operato dei docenti: la velocità dei cambiamenti politici, storici e sociali in atto, però, spesso crea una sorta di “distanza temporale” tra l’atto legislativo e la sua esplicitazione in termini di cambiamento didattico. Dunque lo Stato riesce a “sentire il cambiamento” nel quale il corpo docente si identifica, di certo, ma in processo di fisiologica lentezza nell’acquisire la novità e fuoriuscire da un sistema ormai consolidato. In tale senso la formazione ha valenza fondamentale: la presa di coscienza di una nuova disposizione di legge va accompagnata da mirate azioni di formazione che, però, rinviano ad una situazione di particolare complessità: risorse economiche, tempistiche, contese sindacali sulla retribuzione delle stesse o, scadente motivazione al cambiamento».

Come aiutare i ragazzi e i genitori che spesso minimizzano o non riconoscono il problema?
«I Bes, per quanto riconosciuti e, in quanto tali hanno ufficializzato la presenza di diversi profili di apprendimento fino ad allora soggiaciuti o sommersi. Difficile il compito del legislatore, complesso quello della scuola ed insostituibile quella della famiglia: l’aver individuato o semplicemente nutrito il dubbio che qualche difficoltà ostacoli il sereno sviluppo emotivo del proprio figlio o allievo, permette di rendere visibile la circolarità del processo di apprendimento».

Perché i ricorsi post scrutinio finale, sono in aumento? Il timore del “fallimento” è più per i genitori o per i figli?
«L’apertura della scuola rinvia alla condivisione dei documenti ufficiali attraverso i quali dà inizio al patto educativo tra sé, l’allievo e la famiglia. Occorre un tempo utile a stabilire un clima di serenità fin dai primi momenti: una lettura frettolosa dei documenti offerti alla famiglia, mette in atto una relazione non sempre efficace. I Regolamenti di Istituto dettano condizioni prescrittive che, riflesse nella vita scolastica, assumono la vera natura con la quale essi sono stati ideati: assicurare la crescita formativa ed educativa. I protocolli di valutazione per i quali la norma ha introdotto novità sia nella scuola primaria, per gli obiettivi di apprendimento, sia nel comportamento nella scuola secondaria di I grado, sono il “tallone d’Achille” dell’Istituzione scolastica. Dare valore ad una prova, scritta e orale, è riscontrare un’osservazione oggettiva del tratto di un percorso che consente di guidare l’azione didattica. La scala numerica da 1 a 10 o di giudizio da non sufficiente a ottimo, significano restituire all’allievo il senso del proprio operato, stimolando il processo di autovalutazione. La pubblicazione degli strumenti di valutazione rende le famiglie consapevoli dei criteri adottati nella scuola tanto da non giustificare l’incremento significativo dei ricorsi per bocciature o valutazioni considerate errate. Ciò porta ad un’analisi di 4 fattori.
La scuola. L’egocentrismo esasperato dei tempi, l’assoluto predominio delle immagini, una progressiva devalorizzazione dei principi di educazione e vivere civile, mettono in discussione l’Istituzione e la figura dell’insegnante, paradossalmente considerati ostacolo allo sconcertante predominio della velocità dei tempi, in contrasto a quelli distesi del pensiero. La Scuola deve tornare a essere un luogo di un dialogo sereno tra insegnanti, alunni e genitori che si aprono al confronto educativo con i docenti, riconoscendone la competenza educativa.
La famiglia. La società, al di là di ogni falsa giustificazione, rende i genitori talvolta incapaci di offrire ai figli modelli sicuri; i ragazzi sono resi più fragili, più inclini ad atteggiamenti di insicurezza che di entusiasmo dettati dalla giovane età. Il progressivo indebolimento del principio di autorevolezza degli adulti contribuiscono al disagio giovanile. I ragazzi. Sviluppano personalità fragili avendo come riferimento realtà virtuali e dimostrandosi impreparati ad affrontare difficoltà e sofferenze. L’aspettativa che ogni desiderio venga soddisfatto, insieme alla mancanza di limiti, ostacola la maturazione emotiva a gestire il fallimento perché la crescita passa anche dai giudizi negativi e dal superamento delle difficoltà.
Le valutazioni e le pagelle. Sono attesissime ma anche elemento di stress; ma sono spesso temute dagli allievi affaticati sia da tensioni emotive che difficoltà di apprendimento. La pagella deve essere restituita alla sua reale natura per evidenziare: un voto insufficiente che denota fatica nell’apprendimento; una scuola troppo difficile; un metodo di studio inadeguato e, per questo, insufficiente. Il maestro Alberto Manzi scriveva sulle pagelle dei suoi alunni: “Fa quel che può. Quel che non può, non fa”. L’analisi dei nostri tempi ci permette di guardare fiduciosi alle neuroscienze e alla pedagogia applicata: la riabilitazione e l’abilitazione riducono le distanze tra il disagio di un giudizio mortificante e la considerazione di poter fare ciò che è nelle proprie potenzialità».


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