Economia

Donne, giovani e retribuzioni: l’Italia è diventata vecchia e matrigna

di Giovanni Vasso -


L’Italia è una vecchia matrigna. Un Paese anziano che della senilità ha tutti i difetti. Compresa l’avarizia: gli italiani, infatti, hanno retribuzioni inferiori nell’ordine del 12 per cento rispetto alla media Ue. L’Istat ha pubblicato il suo rapporto annuale. E c’è ben poco di cui rallegrarsi. A cominciare dal capitolo salari. Gli analisti dell’istituto nazionale di statistica hanno monetizzato questo divario. Si tratta di una somma di tutto rispetto, pari a circa 3.700 euro all’anno in meno. Il confronto con la Germania è addirittura impietoso: un lavoratore italiano guadagna ottomila euro l’anno in meno rispetto a un collega tedesco.

I dati sono quelli cristallizzati per il 2021 ma nel 2022 le cose non è che siano andate chissà quanto meglio dal momento che le retribuzioni sono cresciute appena dell’1,1% e se ciò è avvenuto è stato solo perché sono stati rinnovati 33 contratti collettivi nazionali, per una platea complessiva che interessa poco meno di 4,5 milioni di lavoratori. Se ci si mette a guardare le cose in prospettiva, se possibile, diventano ancora più allarmanti. Dal 2013 a oggi, mediamente, in Ue il potere d’acquisto è salito del 2,5%. Contestualmente, in Italia, è sprofondato di due punti percentuali. Solo la Spagna riesce a fare peggio di noi (-2,8%) mentre la Germania ci surclassa ancora (+5,6%).

Ma non basta. Il numero di lavoratrici, in Italia, è aumentato (in circa vent’anni dal 2004 al 2022) di circa un milione di nuove assunzioni. Ma le cifre restano imbarazzanti per un Paese che registra il 42,2% di donne occupate a fronte di una media Ue superiore di oltre quattro punti percentuali. I dati sull’occupazione, se visti sotto la lente territoriale, certifica la dis-unità del Paese. Al Centro e al Nord si è registrato, dal 2004 allo scorso anno, un aumento da un milione di nuovi assunti. Al Sud, invece, si sono perduti, irrimediabilmente, 300mila posti di lavoro.

Ma è coi giovani, oltre che con le donne, che il Paese sa mostrare il suo volto più arcigno, duro, spiegato. In Italia 1,7 milioni di giovani non studiano e non lavorano. Sono i neet, persone che hanno scelto di non seguire percorsi di formazione e non cercano più neanche un impiego. E sono per lo più ragazzi sotto i trent’anni. Lo scenario tracciato dall’Istat è pesante. Pure se una buona notizia c’è. Rispetto agli anni passati, nel 2022 il loro numero è sensibilmente diminuito. Ma l’incidenza del fenomeno rimane altissima: quasi un giovane (tra i 15 e i 29 anni) su cinque non studia, non lavora e non si sta formando. La quota schizza se si prende in considerazione l’aspetto territoriale e si analizzano, ancora una volta, i dati desolanti che arrivano dal Mezzogiorno. Qui il problema riguarda quasi un ragazzo su tre in Sicilia mentre sprofonda al Nord giungendo, nell’area di Bolzano, a calare fin sotto il 10%. Sono più le ragazze che i ragazzi a vivere in questa condizione. E il dato è inversamente proporzionale ai titoli di studio: più si sale di livello, più scende il numero di Neet.

Vedremo tra una ventina d’anni le conseguenze. L’Istat stima che “entro i prossimi 20 anni vi sarà una riduzione consistente della popolazione in età di studio e di lavoro”. La popolazione italiana si contrarrà fino 54 milioni di abitanti, assisteremo alla perdita di cinque milioni di residenti. Il nostro sarà un Paese sempre più vecchio, il più anziano d’Europa (con un’età mediana di 48,3 anni) e “la struttura per età della popolazione cambierà in gran parte già nel periodo 2021-2041, quando la fascia di età fino ai 24 anni si ridurrà di circa 2,5 milioni (-18,5 per cento) e quella tra i 25 e i 64 anni di 5,3 milioni (-16,7 per cento). Al contrario crescerà di quasi un milione la popolazione tra i 65 e 69 anni (+27,8 per cento) e di 3,8 milioni (+36,2 per cento) quella di 70 anni e più, che nel 2041 comprenderà la generazione del baby boom”.


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