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Elia Del Grande, il ritorno dell’incubo: l’uomo che sterminò la famiglia è fuggito

di Priscilla Rucco -


C’è qualcosa di profondamente terrificante nel leggere, nel 2025, il nome di Elia Del Grande e accorgersi che il tempo non abbia cancellato né la memoria del suo gesto, né il senso di smarrimento che lo accompagna. L’uomo che nel 1998 sterminò la propria famiglia – padre, madre e fratello – è fuggito dalla casa lavoro di Castelfranco Emilia, dove stava scontando una misura di sicurezza dopo anni di detenzione. Era considerato “socialmente pericoloso”, eppure libero a sufficienza per scappare. E ora tutti si chiedono: come sia stato possibile?  Elia Del Grande sarebbe stato localizzato ad Angera, in provincia di Varese, il giorno successivo alla sua fuga dalla casa-lavoro di Castelfranco Emilia (Modena). Il piccolo comune affacciato sul Lago Maggiore, che conta poco più di cinquemila abitanti in cui Del Grande vi aveva vissuto in passato, e si trova a soli sei chilometri da Cadrezzate, teatro del triplice omicidio avvenuto 27 anni fa, ribattezzato “la strage dei fornai”.

Il telefonino nascosto e la fuga dal muro di cinta

Secondo quanto emerso dalle prime ricostruzioni, il 49enne avrebbe utilizzato un telefono cellulare introdotto illegalmente all’interno della struttura detentiva e poi nascosto nei campi circostanti in attesa del momento opportuno per fuggire. Giovedì sera, approfittando di un momento di relativa quiete, si sarebbe calato dal muro di cinta della casa-lavoro utilizzando una corda rudimentale realizzata con cavi elettrici, come mostrano le immagini delle telecamere di sorveglianza. La casa-lavoro di Castelfranco Emilia, struttura a metà tra il carcere e il centro di reinserimento sociale, ospita detenuti impegnati in percorsi di rieducazione e lavoro esterno. La fuga di Del Grande ha sollevato più di un interrogativo sulla sicurezza e sui controlli interni.

Ricerche in corso e sospetti sulla compagna

Le ricerche dell’uomo proseguono a ritmo serrato tra Emilia-Romagna, Varesotto e Sardegna, regioni legate ai suoi precedenti spostamenti. Gli investigatori stanno analizzando i filmati delle videocamere pubbliche e private e ascoltando numerosi testimoni per ricostruire i movimenti del fuggitivo dopo l’evasione. Nel mirino degli inquirenti c’è anche la compagna di Del Grande, che lo aveva visitato di recente. La donna, già coinvolta nel 2015 in un tentativo di evasione dal carcere di Pavia, è ora al centro di nuovi accertamenti: si ipotizza possa aver contribuito alla pianificazione o all’esecuzione della fuga.

Un delitto che sconvolse il Paese

Era la fine degli anni Novanta quando la notizia del massacro familiare a Castelletto Ticino (Novara) sconvolse l’opinione pubblica. Elia Del Grande, allora poco più che ventenne, uccise i genitori e il fratello in un impeto di violenza cieca, incomprensibile, tanto da spingere gli inquirenti a scavare nel suo passato psichiatrico. Le perizie parlarono di disturbi mentali gravi, ma la crudeltà del gesto lasciò poco spazio alla pietà. La sentenza arrivò: 30 anni di reclusione. Poi la lunga detenzione, il silenzio, il tentativo dello Stato di “rieducare” un assassino familiare. Eppure, dopo un quarto di secolo, si parla nuovamente di lui, di una fuga che riapre vecchie ferite mai rimarginate e nuove paure.

La libertà vigilata di Elia Del Grande. La falla nel sistema

Dopo 25 anni dietro le sbarre, a Del Grande era stata concessa la libertà vigilata: un esperimento di reinserimento sociale, con l’obiettivo di restituire all’uomo una parvenza di normalità. Ma la misura fu revocata dopo pochi mesi. Il motivo? Comportamenti allarmanti, episodi di furti e molestie ai residenti della zona in cui viveva. Nonostante ciò, invece di un ritorno immediatamente in carcere, venne trasferito in una comunità protetta in attesa di una nuova valutazione. Una struttura “aperta”, senza mura di cinta. E da lì, come era prevedibile, è fuggito. Da giorni, le ricerche si concentrano tra il Varesotto, suo luogo d’origine, e la Sardegna, dove pare avesse legami e conoscenti. È un uomo libero, ma non innocente; socialmente pericoloso, ma sottovalutato. Le forze dell’ordine invitano alla cautela, ma il sospetto è che si tratti dell’ennesimo buco di un sistema che non impara mai dai precedenti casi. Perché se un pluriomicida dichiarato “a rischio” può allontanarsi indisturbato, allora la parola “sicurezza” perde il suo significato. Il caso Del Grande riaccende il dibattito mai sopito sul confine tra riabilitazione e protezione sociale. Quante volte, in nome del garantismo, si chiudono entrambi gli occhi d’innanzi all’evidenza che certi individui non siano recuperabili? La società ha diritto alla sicurezza tanto quanto il reo ha diritto alla dignità, ma quando l’equilibrio si rompe – e si rompe spesso – il prezzo lo paga sempre la società. Dietro ogni misura di libertà vigilata, c’è una firma, una relazione, un funzionario che ha detto “sì”. Chi ha valutato Del Grande “idoneo” alla vita in comunità? Chi ha ignorato i segnali di regressione? Aspettiamo risposte.


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