Il delitto sotto il tetto della chiesa
Sono passati più di trent’anni dalla scomparsa di Elisa Claps, la studentessa diciassettenne svanita il 12 settembre 1993. La verità è emersa solo diciassette anni dopo, nel 2010, quando il suo corpo fu ritrovato nel sottotetto della Chiesa della Santissima Trinità di Potenza. Lì era stato nascosto per tutto quel tempo, senza che nessuno – ufficialmente – se ne accorgesse. Ma è davvero credibile che nessuno sapesse?
Il suo assassino, Danilo Restivo, era già noto alla città e alle forze dell’ordine per comportamenti inquietanti, ossessioni morbose e strane frequentazioni. Eppure per anni è rimasto indisturbato, mentre la famiglia Claps lottava contro un muro di gomma fatto di silenzi, omissioni e complicità mai chiarite.
Il giorno della scomparsa, Elisa aveva un appuntamento con Restivo proprio nella canonica della chiesa. Quel giorno, l’unico a vederla – a detta di molti testimoni – fu proprio lui. Eppure fu lasciato libero per anni, nonostante numerosi elementi indicassero la sua responsabilità.
Il cadavere venne scoperto nel 2010, durante lavori di ristrutturazione. Era lì, a pochi metri dalla sacrestia, sotto il tetto, decomposto ma con chiari segni di violenza. La scena, però, era stata evidentemente manipolata. Alcuni indumenti erano stati spostati, oggetti accatastati a coprire il corpo. Chi ha protetto Danilo Restivo per 17 anni?




Secondo diverse inchieste giornalistiche e atti giudiziari, almeno tre persone avrebbero avuto accesso al sottotetto nel corso degli anni: personale ecclesiastico e operai. Tuttavia, nessuno ha mai segnalato nulla. Una negligenza inspiegabile. O forse, una protezione sistemica? Il sospetto più inquietante è che ambienti ecclesiastici abbiano coperto il delitto, temendo lo scandalo e i riflessi sulla diocesi di Potenza. Anche alcuni sacerdoti, interrogati negli anni, hanno fornito versioni contraddittorie.
Nel frattempo, il Vescovo dell’epoca, Monsignor Agostino Superbo, venne travolto dalle polemiche per non aver mai autorizzato controlli approfonditi nella chiesa, nonostante le richieste insistenti della famiglia Claps.
Nel 2011, Restivo fu condannato all’ergastolo nel Regno Unito per l’omicidio di Heather Barnett, una sarta inglese trovata uccisa in casa con modalità simili: capelli tagliati, segni di sadismo e feticismo. Solo allora l’Italia accelerò sul fronte giudiziario, giungendo alla sua condanna anche per l’omicidio di Elisa.
Tuttavia, la condanna dell’assassino non ha cancellato gli interrogativi: Chi ha coperto Restivo per 17 anni? Perché il corpo non fu mai cercato seriamente nella chiesa? Perché l’omicida poté fuggire all’estero e colpire ancora?


La famiglia Claps ha sempre denunciato le connivenze tra ambienti ecclesiastici, forze dell’ordine e magistratura. La madre di Elisa, Filomena, e il fratello Gildo hanno condotto una battaglia mediatica e giudiziaria solitaria, spesso osteggiata.
Il caso Claps è simbolo di una giustizia che arriva tardi, e mai del tutto. È il paradigma di un cold case in cui la verità è stata sepolta insieme al corpo della vittima, e dove la condanna dell’assassino non basta a placare le domande. La Chiesa non ha mai chiesto scusa. Le istituzioni hanno fatto poco per spiegare. E la sensazione, diffusa, è che ci sia ancora qualcosa da nascondere.
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