Salute

Emergenza medici e pronto soccorso: così il Servizio Sanitario rischia grosso

di Eleonora Ciaffoloni -


Emergenza medici e pronto soccorso: così il Servizio Sanitario rischia grosso.
L’allarme dei sindacati e i rischi di una sanità semi-pubblica
“Una situazione drammatica: urge una riorganizzazione”

“La situazione è drammatica e appartiene a tutto il sistema, serve riorganizzazione”. Questo l’allarme che interessa il Sistema Sanitario Nazionale, spiegato attraverso le parole di Pierino Di Silverio, segretario nazionale del sindacato dei medici e dirigenti Ssn, Anaao Assomed.
Una situazione drammatica che ormai vige da tempo, che parte dall’emergenza vissuta nei Pronto soccorso e che si allarga a tutte le strutture di cura. Una emergenza che “richiama una necessità impellente di riorganizzare il percorso di cure” dice Di Silverio. Perché, spiega, arrivano sempre molti, troppi, pazienti nei Pronto soccorso a causa della mancanza di “un filtro” sia “con la medicina territoriale” ma anche “all’interno degli ospedali”. Mancanza di “filtro” che si accosta alla mancanza di posti letto nei reparti e alla difficoltà a trasferire i pazienti che restano nei Pronto soccorso che da centri di assistenza emergenziale si trasformano in veri e propri reparti. Problematiche che si allargano dai cittadini fino ai lavoratori del settore, tra chi abbandona le cure e chi invece lascia il posto di lavoro, mentre aumentano sempre di più le privatizzazioni dei servizi sanitari, con visite e operazioni a pagamento che spesso sostituiscono il Ssn, per chi ne ha le possibilità.

GRATUITÀ A RISCHIO: SERVIZIO SANITARIO IN EMERGENZA
Proprio a riguardo dei pazienti sempre più spesso moltissimi cittadini, a causa del sovraffollamento dei reparti e della lunghezza delle liste di attesa, si rivolgono ai servizi a pagamento presso cliniche specializzate o centri di cure. Per gli altri, ovvero per chi non riesce a permetterselo, la strada diventa quella della rinuncia alle cure. Su questo tema si è concentrato il report del sindacato Anaao Assomed, in cui sono stati calcolati gli eventuali costi per i cittadini in caso non ci fosse il Ssn. Quindi quanto costerebbe curarsi senza Servizio sanitario nazionale? Secondo i calcoli servirebbero da 422 a 1.278 euro al giorno per un ricovero. Ad aggiungersi a questo costo, poi, ci sarebbero anche 1.200 l’ora per la sala operatoria, 600 euro al giorno per la degenza in un reparto chirurgico oppure, 400 al giorno per la degenza in un reparto di medicina, oppure 165 giorno per un ricovero ordinario post-acuzie.
Nel report vi è calcolato anche il costo degli interventi chirurgici, con alcuni esempi: 3.300 euro per una colecistectomia laparoscopica semplice, 4mila euro per una colecistectomia laparoscopica complessa, a cui aggiungere da 3mila a 10mila euro per la parcella del chirurgo. “il nostro report – spiega Di Silverio – ha voluto dare un segnale d’allarme per dire: attenzione, cittadino, perché oggi tutto quello che abbiamo, con i limiti che sono presenti, è gratuito. Domani, se continua questo processo che sembra inevitabile verso una privatizzazione dei servizi sanitari, tutto quello che oggi è gratuito diventerà a pagamento”. Un conto ombra che mostra “l’offerta” della sanità pubblica e che se non ci fosse “il conto delle cure sarebbe assai salato”, mentre ora grava solamente sui cittadini per la fiscalità generale.

SERVIZIO SANITARIO CON PERSONALE CONTATO: EMERGENZA
Dall’altro lato della barricata ci sono i medici e il personale sanitario, che spesso si ritrovano in numero insufficiente a lavorare a ritmi incalzanti e spesso con paghe che non attirano alla professione. Lo fa sapere anche il presidente Anaao Assomed Pierino Di Silverio: “Nel frattempo dieci medici al giorno abbandonano gli ospedali in età non pensionabile, è drammatico”, visto che i reparti vanno spesso sotto di personale. Ma non solo, c’è un altro dato che fa riflettere, soprattutto in questi giorni di vacanze estive e riguarda i medici ospedalieri che, fa sapere Di Silverio, hanno collezionato “cinque milioni di ferie non godute” e ciò significa “che non andiamo nemmeno in ferie”.
Per spiegare questa fuga anticipata dei camici bianchi dal Servizio sanitario nazionale, Di Silverio sottolinea: “se io devo lavorare con uno stipendio che è tra i più bassi di Europa, in condizioni di lavoro disastrosi a livello infrastrutturale tecnologico, gravato da 80 ore di lavoro a settimana, con molte delle feste neanche pagate, non posso andare in ferie, sono aggredito, malmenato, denunciato, perché sottoposto a tre diversi tribunali, e da oggi anche quattro, compreso quello mediatico, sfido chiunque a voler restare in un sistema siffatto. Non ho gratificazione professionale, non ho gratificazione sociale, non ho gratificazione personale, non ho più tempo per me e per mia famiglia, dunque vado via”, conclude il segretario. Un insieme di fattori che hanno portato a una crisi e a una “fase rischiosa per la tutela del diritto alla salute”. La parola d’ordine è: intervenire


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