Economia

Energia, lo strano caso dell’emendamento scomparso

di Giovanni Vasso -


La lunga notte nucleare della Commissione bilancio alla Camera dei Deputati: spunta un emendamento che equiparerebbe gli impianti per l’energia alle strutture militari, le opposizioni alzano le barricate e la maggioranza ritira, almeno per ora, la proposta. La vicenda è stata raccontata proprio dai gruppi parlamentari di minoranza. Che hanno “rivendicato” come un successo il fatto di aver frenato l’emendamento che, all’articolo 21 del decreto Sud, avrebbe esteso all’elenco delle strutture destinate alla difesa e alla sicurezza nazionale quelle per l’energia. Un inciso che è parso troppo scarno e fuori luogo, all’opposizione, che ha immediatamente chiesto l’espulsione del testo dal decreto. Come ha raccontato a Radio Radicale la capogruppo M5s in Commissione  Daniela Torto, la maggioranza ha prima chiamato una pausa dei lavori per una consultazione e quindi ha annunciato il ritiro dell’emendamento della discordia.

Sembra una questione squisitamente politica. Anzi, pare una vicenda per appassionati di liturgie parlamentari. Non è così. “Volevano intervenire sul codice militare con un intervenuto inopportuno – ha denunciato il M5s in una nota di ieri mattina – perché si inseriva in una misura dedicata alla gestione dei flussi migratori, era anche talmente generico da aprire potenzialmente estensioni su tutto, compresi rigassificatori e centrali nucleari”. Ecco qui il busillis. Il tema, dunque, è ben più pregnante rispetto al mero diritto parlamentare. Si tratta di una questione di sostanza, legata a filo doppio alle politiche e alle strategie energetiche del Paese. L’Italia ha un problema di approvvigionamento. Ma, prima ancora, ha un problema di infrastrutture. Perse le forniture dalla Russia, il Paese acquista Gnl. Ma ha bisogno di “rigassificare” le materie prime per produrre energia. Ma qui si innesta il problema dei problemi, ossia la protesta delle comunità locali, da Piombino fino alla Liguria, che rischia non solo di dare adito a complesse, lunghe e insostenibili battaglie legali ma anche di far perdere tempo. Che l’Italia, a oggi, non ha. Contratti e interessi commerciali dicono la stessa cosa: se non si utilizzano le materie prime, queste saranno immediatamente dirottate altrove. Francia e Germania, per esempio. Palazzo Chigi, dunque, ha da fare una corsa contro il tempo. E inserendo le infrastrutture dell’energia nel novero di quelle assimilabili alle esigenze strategiche e di difesa, il governo avrebbe potuto tagliare tempi, burocrazia e polemiche.

Ma questa è solo un dei due corni del dilemma. L’altro si chiama energia nucleare. Il tabù di tutti i tabù del dibattito pubblico italiano. Negli ultimi mesi, però, si registrano nuove aperture al dialogo. Come sui rigassificatori, il centrodestra è favorevole a intraprendere una strategia che riporti il nucleare in Italia. Il vicepremier Matteo Salvini preme, a fondo, sull’acceleratore e solo qualche ora fa è tornato a dire che si riterrebbe “onorato” se Milano avesse un suo reattore. Il ministro all’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin frena ma non è scettico sull’atomo. E, nelle scorse settimane, ha proposto una strategia che punti forte sugli small reactors. Si tratta degli impianti “portatili”, forti di una tecnologia che si potrebbe definire il 4.0 del nucleare; facili da installare e sicuri da utilizzare. La sinistra, però, non si fida. I Verdi puntano, ancora, a potenziare le fonti rinnovabili, sottolineando le potenzialità di eolico e solare. Il M5s, che è praticamente nato politicamente nei comitati ambientali territoriali, non cederà un millimetro sul nucleare. Il Pd, invece, rischia l’ennesima spaccatura mentre il centro, da Calenda a Renzi, non nasconde di guardare con interesse alla soluzione nucleare. L’energia non è materia da risolversi con un emendamento. Ma il centrodestra ci ha provato. Scontrandosi con le barricate. Ma la questione non è finita qui. Anzi. Perché la vicenda non si gioca solo in Italia. C’è l’Europa. Ed è il vero convitato di pietra nel dibattito italiano.

La commissione industria del parlamento europeo, mercoledì scorso, ha rimesso il nucleare nell’elenco delle energie rinnovabili e sostenibili, confermando di puntare (anche) sull’atomo per la sua strategia Net-Zero. Non è la solita banalità, non è il solito wishful thinking. Con Net-Zero, Bruxelles (seppur in un ritardo che definire drammatico è ancora poco) prova a replicare all’Ira di Biden. Contestualmente, la Commissione valuta di aprire inchieste sugli incentivi all’eolico. Perché, non è mica un mistero, l’Ue ha deciso di smarcarsi dalla dipendenza cinese e sulle rinnovabili è Pechino che dà le carte. Insomma, l’atomo potrebbe essere la soluzione. Quello che è certo e che questo sarà il centro del dibattito da qui alle prossime settimane. A meno che, cosa purtroppo improbabile, la pace non torni a splendere sull’Europa e nel Medio Oriente.


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