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Attualità

Eredità Del Vecchio. Strappo tra i figli. Lite da 50 miliardi

di Ivano Tolettini -


Ci sono successioni che si chiudono in poche settimane, e successioni che diventano saghe familiari, specchiando nei patrimoni i rapporti umani e le fragilità di dinastie industriali. Quella di Leonardo Del Vecchio appartiene senza dubbio alla seconda categoria. A più di tre anni dalla morte del fondatore di Luxottica, il patrimonio da 50 miliardi custodito in Delfin è ancora terreno di confronto, interpretazioni giuridiche contrapposte e scelte che rivelano quanto la partita sia tutt’altro che chiusa.

La convocazione dell’assemblea straordinaria

L’assemblea straordinaria convocata da Rocco Basilico, figlio della vedova Nicoletta Zampillo, avrebbe dovuto essere un passaggio tecnico: chiedeva l’autorizzazione a trasferire una parte del suo 12,5% in una holding lussemburghese di sua proprietà, la RBH. Un’operazione che presupponeva la sua piena titolarità sulla quota. Ma prima del voto, la dinamica è cambiata. Leonardo Maria Del Vecchio, il più attivo degli eredi nella gestione post successione, è intervenuto con i suoi legali riportando indietro le lancette al 2022, alle ore successive all’apertura del testamento del fondatore.

Il testamento

Dal testamento, Basilico ricevette la nuda proprietà delle quote e la madre l’usufrutto. Quando Zampillo rinunciò all’usufrutto, Delfin considerò maturata la piena proprietà in capo al figlio. Tuttavia, sostiene oggi Leonardo Maria (nella foto), quella rinuncia riguardava il legato, non il diritto di usufrutto. Una distinzione da manuale di diritto successorio, ma pesantissima. Perché se la rinuncia è al legato e non al diritto, l’effetto è retroattivo: Zampillo, formalmente, non sarebbe mai diventata titolare del diritto e, dunque, non avrebbe potuto trasferirlo. In altre parole, Basilico non sarebbe mai divenuto pieno proprietario. Le quote resterebbero nel perimetro della successione ancora aperta, in capo ai sei figli di Del Vecchio.

Ma la volontà di Leonardo era questa?

Alla luce di questa interpretazione, l’assemblea ha respinto all’unanimità la richiesta di trasferimento alla RBH. Anche perché, come ricorda lo statuto, ogni passaggio tra vivi richiede l’ok dell’assemblea e prevede la prelazione degli altri soci sulle eventuali quote cedute. La vicenda per ora è confinata sul piano civilistico e societario.

Il paragone

E qui si innesta il paragone inevitabile con un’altra dinastia italiana: gli Agnelli. Nel loro caso, il confronto interno su eredità e governance si è trasformato in un contenzioso esploso anche sul fronte penale e civile, con querele, accuse di falso e un braccio di ferro che ha investito a più riprese anche la reputazione pubblica della famiglia. Nella galassia Del Vecchio lo scenario è diverso. Siamo di fronte a una battaglia di interpretazioni, di equilibri interni, di posizioni contrapposte sul significato tecnico di un atto del 2022. Una disputa che non buca ancora la soglia del contenzioso giudiziario, ma che dimostra come anche i patrimoni più ordinati possano generare attriti profondi quando la successione è lunga, complessa e miliardaria. La mossa di Leonardo Maria blocca di fatto qualsiasi riorganizzazione interna e lascia la cassaforte da 50 miliardi, dalle quote EssilorLuxottica a Covivio fino alle partecipazioni in UniCredit, Mps e Generali, cristallizzata. Un puzzle gigantesco in cui ogni tessera pesa miliardi e ogni scelta richiede un equilibrio.


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