Politica

Europee, tutti i nodi di Schlein e Salvini punta al 10% con Vannacci

di Domenico Pecile -


È un countdown, quello delle Europee, che si sta surriscaldando e che sta mettendo a dura prova le varie forze politiche e le relative alleanze. La protesta dei trattori è piombata nell’agone politico sconquassando gli equilibri, ma avendo un merito incontrovertibile: avere innescato un aspro dibattito su uno dei temi dirimenti il futuro dell’Ue, vale a dire l’agricoltura e la prospettiva green. E non è cosa da poco, visto che fin qui – come del resto era prevedibile – i partiti hanno indugiato molto su strategie, possibili scenari post-voto e alleanze piuttosto che sui temi che interessano i cittadini dell’Europa, dalla crisi economica a uno sviluppo possibile, dalle guerre in corso ai rapporti internazionali, dalla tutela dei singoli Stati alla presenza ingombrante dei poteri forti quali la finanza e le multinazionali. Sì, più forma che sostanza. Si parla infatti troppo di candidature e di esclusi, di gare elettorali tra le singole forze e dei possibili riverberi del voto europeo in chiave italiana.
La vicenda delle candidature di Meloni (ormai data per certa) e di Schlein (che ancora non ha scelto e che ha spaccato il partito) è il paradigma di questa campagna elettorale fatta di tattiche e personalismi. Resta il fatto che mentre Fratelli d’Italia ha reagito con entusiasmo alla candidatura del premier, nel Pd è ancora buio pesto. Ieri, sulla possibile candidatura di Schlein è intervenuta l’ex ministra Rosy Bindi. Che per non prendere posizione ha salomonicamente affermato di non avere “l’autorevolezza di Prodi per esprimersi” giacché “sarà il partito nella sua interezza a decidere”. Chi ritiene che, invece, la candidatura di Schlein sia un valore aggiunto per garantire più consensi al Pd è il sindaco uscente di Firenze, Dario Nardella. Insomma, per lui “è legittimo fare un ragionamento, ma sarà lei a decidere”. Decisione non facile perché la segretaria in questo momento è distolta da diverse urgenze. Una delle quali arriva proprio da Firenze, dove i dem e lei stessa si giocano una buona fetta della credibilità. Dopo avere negato le primarie (grazie alle quali lei è segretaria) Schlein sa che la roccaforte viola è a rischio. Perdere Firenze sarebbe una Waterloo. Ma il rischio esiste, eccome. Troppi i mali di pancia, gli addii (come quello di Cecilia Da Re che ha lasciato il Pd lanciando una sua lista e che è stata seguita da tre consiglieri), le tensioni.
Senza contare che quella di Renzi sul capoluogo toscano è più di un’ombra inquietante per i dem. E non soltanto perché Italia viva ha fatto saltare il banco della possibile alleanza: l’ex premier ha annunciato che si candiderà in tutte le circoscrizioni. Con o senza Calenda. Con o senza +Europa. “Ci metto la faccia, vedremo chi avrà il coraggio di fare altrettanto” è la sfida che lancia soprattutto a Schlein. Sicuro e baldanzoso più del solito, Renzi è convinto che la sua alternativa sia l’unica in grado di battere i populismi di destra e l’ideologismo di sinistra. Poi, la frecciata proprio su Firenze: “Se il Pd va al ballottaggio rischia di perdere. Quindi, fossi in loro cercherei di evitare e proverei a vincere al primo turno. I numeri dicono che se Italia viva andrà da sola – come penso che accadrà – Funaro rischia e Schlein rischia molto più di lei”.
Ma se Firenze piange, Napoli non ride. Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, è la scheggia impazzita del Pd. Certo, Schlein – chiamata in causa da Meloni – è costretta a difenderlo (noblesse oblige): “Certi toni non mi appartengono. Non c’era bisogno del turpiloquio (De Luca aveva parlato di “imbecilli, farabutti e delinquenti politici” riferendosi a esponenti della maggioranza e del Governo ndr) per attaccare le disastrose scelte del governo”.
Sul fronte opposto pure Matteo Salvini denota un certo nervosismo, consapevole che fare gara sulla Meloni è impresa pressoché impossibile. Eppure le tenta tutte. A rischio di andare a sbattere. Tre i cavalli di battaglia per tentare di arrivare a Bruxelles almeno al 10%. Il primo è la protesta degli agricoltori il cui appoggio incondizionato sta mettendo a dura prova i rapporti con gli alleati, Meloni in primis che nel suo ruolo di leader non è certo salita sui trattori come il leader leghista. Il secondo riguarda il patto ormai chiaro con le destre estreme europee, in primis quella francese della Le Pen e l’Afd tedesca. Infine, la candidatura del generale Roberto Vannacci. Salvini è convinto il generale rappresenti un’ottima scelta per pescare voti anche in parte di quella destra fedele a FdI. Opzione però che gli viene contestata anche all’interno della Lega.


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