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Gianfranco Viesti: “Pnrr vera svolta per la sanità, ma l’autonomia rischia di far saltare tutto”

di Giovanni Vasso -


“Con il Pnrr, finalmente una politica nazionale per la sanità ma sulla realizzazione del piano per la salute aleggia lo spettro dell’autonomia differenziata”. Gianfranco Viesti, economista, ordinario di Economia applicata all’Università di Bari, ha condotto uno studio, per Fondazione con il Sud, sulle misure per la salute contenute nel piano nazionale di ripresa e resilienza. La linea tracciata sembra convincente ma ci sono due incognite: una riguarda i finanziamenti per i servizi dal 2027 in poi, l’altra investe direttamente i poteri delle Regioni e il riassetto dell’architettura istituzionale dello Stato.
Quali obiettivi si pone il Pnrr per la sanità?
La parte legata alla Salute è una delle più interessanti del piano. Perché, per la prima volta da questo secolo, disegna una strategia nazionale per il sistema sanitario. Che consiste nel potenziamento dei servizi territoriali. Ed è molto coerente con quello che abbiamo imparato dal covid. Cioè che c’è bisogno di un livello territoriale dei servizi intermedio tra i cittadini e gli ospedali. Che può servire a tante cose, come a diminuire la pressione sui pronto soccorso, a diminuire le presenze più costose in ospedale, ad avere un’interfaccia con i cittadini, sia quelli più lungodegenti cronici sia quelli che hanno patologie di altro tipo.
Come è organizzato?
Sugli assi di assistenza domiciliare. Si tratta di case della salute e ospedale di comunità. Il Piano finanzia, prevalentemente laddove ce ne sia bisogno, le strutture. Parte da una realtà in cui questi tipo di strutture sono un po’ presenti soprattutto in Emilia e in Toscana, molto poco al Sud ma anche al Nord e disegna un sistema nazionale di queste strutture. E poi stanzia risorse già fino al 2026 per l’assistenza domiciliare per i servizi e per l’attenzione e cioè bisogna un sistema che di qui al 2026 si dovrebbe portare in una situazione di rafforzamento dei servizi previsti. La cosa importante è che è stata una politica nazionale, così come il Covid è valso per tutti gli italiani. A mio avviso ciò è stato particolarmente opportuno perché il governo e il parlamento hanno stabilito, secondo me a ragionem che è in casi di pandemia o anche nella normalità delle situazioni queste reti di servizi sono quello che servono. Così la decisione di farli è stata nazionale, poi ciascuna regione ha deciso dove andavano fatti. Sono stati siglati questi accordi fra il ministero e le Regioni e adesso siamo nella fase di avvio degli appalti. Molte Regioni ne hanno affidata la gestione a Invitalia, che sta facendo ha fatto dei bandi pluriregionali. Anche perché non sono strutture molto complesse da realizzare e non hanno dentro delle tecnologie particolarmente sofisticate.
E l’assistenza domiciliare?
Sta partendo un po più a rilento il servizio di assistenza domiciliare. Anche lì a è molto importante perché si dice che si mira a una percentuale uguale in tutta Italia: il 10% degli anziani assistiti a domicilio. E quindi molto bene. Ma quello che succede è che, finito il Pnrr e cioè dal 2026, ci sarà bisogno di stanziare delle risorse di bilancio per consentire a queste strutture di funzionare. Non sono cifre enormi rispetto alla dimensione del fondo sanitario ma non sono state ancora stanziate. A me preoccupa molto l’affermazione che ho sentito fare dal ministro Fitto secondo cui questa misura implicando ulteriori spese di bilancio è una misura problematica. Invece è esattamente il contrario. Se si riuscisse a realizzare diciamo questo sistema si farebbe sicuramente un grosso passo in avanti.
La sanità viene da anni di tagli…
Il sistema sanitario ha subito una pesantissima stagione di tagli degli anni ’10. Poi ha avuto delle risorse straordinarie col Covid. Adesso i doppi dati che ci sono nel documento di economia e finanza del governo Meloni, sono molto discutibili a mio avviso perché possono creare un sotto finanziamento del sistema. E un Paese con una quota crescente di anziani è un Paese che naturalmente deve investire di più nel servizio sanitario. Ma la spesa sanitaria va vista come un investimento non come un costo. Ma c’è di più.
Ovvero?
Aleggia lo spettro dell’autonomia differenziata. Perché se dovessero andare in porto le richieste delle Regioni, innanzitutto questo non si sarebbe potuto. Perché lo Stato centrale non avrebbe avuto più il potere di decidere una politica nazionale della sanità. E il sistema rischia, come ha mostrato molto chiaramente la Fondazione Gimbe, con l’autonomia differenziata muore il servizio sanitario nazionale. Ciascuna Regione se ne va per conto proprio. Contratti fatti per conto proprio, organizzazione propria, spazio privato deciso regionalmente, in concorrenza con le altre perché i pazienti da altre Regioni portano risorse. Non sarebbe solo il Pnrr a venire meno. Ci siamo dimenticati cosa è successo nel 2020 nel 2021 con la pandemia. Se ci fosse stata l’autonomia differenziata, e quindi poteri assoluti delle regioni, che cosa sarebbe successo? Non ci siamo mai dimenticati delle regioni che si volevano comprare vaccini ognuna per conto proprio, di quelle che contestavano le chiusure e volevano tenere aperto, quelle che chiudevano le scuole che in altri stavano aperte. Quindi dovremmo aver imparato da una parte mia che ci vuole una sanità che abbia un presidio di governo nazionale poi, sia differenziata e adattata sui territori. Sullo stato della sanità nella parte nei prossimi anni aleggia questo aspetto dell’autonomia differenziata. Che è un tema molto veramente sorprendente del quale non si riesce mai a discutere


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