Cultura & Spettacolo

I CONSIGLI DEL LIBRAIO

di Redazione -


DI GABRIELE GRAZI

La lotta con le proprie manìe come chiave di lettura del mondo

Uno degli elementi cardinali di un libro è l’epigrafe. Si intende la citazione da altro autore posta in apertura con la quale si offre una delle potenziali chiavi di lettura del libro stesso. In questo caso troviamo Kafka: “Nulla resta attaccato all’anima quanto un senso di colpa infondato perché – proprio perché non ha alcun fondamento – non c’è penitenza o riparazione che permetta di sbarazzarsene”. La lotta a cui fa riferimento il titolo è contro una patologia nervosa della protagonista che scende pagina dopo pagina nella sua ossessione contro lo sporco e la sua smania di igiene. Ovviamente travalica quello che è il reale per spostarsi in un territorio di confine, là dove regna la metafisica, là dove i corpi e la materia perdono il proprio senso ordinario per un’indagine sulla loro fondazione, con una serie di riflessioni lucidissime e filosofiche sulle dicotomiche contrapposizioni tra un senso profondo dell’esistenza, il nostro posto nel mondo, e le fauci di un caos primigenio che potrebbe inghiottire tutto compresi noi stessi, e di cui potremmo addirittura divenire agenti. Il nostro posto nel mondo è una ricerca sfiancante se sul serio ci vogliamo cimentare in essa, riecheggia degli sforzi inauditi della ricerca del santo Graal, un ordine dotato di senso e significato intellegibili. Ma tutto intorno il caos, che qui assume le sembianze della manìa, dello sporco che ci circonda ovunque si posi il nostro sguardo, come il drago multiforme che ci assale, appunto come una lotta impari. Parallelamente essendo un romanzo con più chiavi di lettura, dalla dimensione psicologica, che trova nel senso di colpa tipico della nostra società e della nostra psicologia uno dei motori primi della storia, corre un altro binario: la denuncia civile della nostra società dello spreco e dei rifiuti, che nascondiamo al nostro sguardo ma che mandiamo ad esplodere nelle periferie del mondo. Simona Nuvolari è un’esordiente e si pone subito nel solco di alcuni dei romanzi che sono stati più interessanti negli ultimi anni con questa dinamica che da un disturbo psicologico privato aprono alle considerazioni metafisiche universali: mi viene in mente La vegetariana di Han Kang o Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh. Ma attenzione, la protagonista sa essere anche una totale imbranata regalandoci passaggi di puro divertimento e di alleggerimento, in un bel gioco stilistico. Un saggio della qualità della letteratura proposta dall’autrice: “I turisti che si aggirano sul posto fotografano il palazzo severo, la grande fontana col suo bacino d’acqua azzurrina ai piedi dell’obelisco, la veduta dei tetti e delle terrazze a perdita d’occhio oltre la balaustra di marmo che chiude la piazza, con la cupola di San Pietro che si staglia all’orizzonte. Non guardano i due cartelli, scritti in una lingua che non conoscono, e distolgono istintivamente lo sguardo da quelle figure umane che non partecipano all’armonia della pietra e dello spazio in quel luogo”. Un consiglio su come leggere questo libro: aspettate un acquazzone, andate in un parco e immergete le mani nell’humus fradicio della terra, lasciate andare quel senso ovattato di igiene posticcia. Ed agite per un futuro veramente verde.

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