Attualità

Il giustizialista Davigo violò il segreto d’ufficio per colpire un collega

di Ivano Tolettini -


“Se perdoni sempre tutti, i cittadini non avranno mai senso di responsabilità, che passa anche attraverso la sottoposizione di una persona alle conseguenze delle sue azioni”. A pronunciarlo è Piercamillo Davigo, ex pm di Mani Pulite ed ex componente del Csm, in un colloquio con Gherardo Colombo raccolto nel libro dall’emblematico titolo “La tua giustizia non è la mia”. È una sorta di premonizione, dal sapore della nemesi, alla luce del verdetto d’appello emesso ieri dalla Corte di Brescia che conferma la condanna a 15 mesi di reclusione per Davigo, 73 anni, accusato di avere violato il segreto d’ufficio propalando a una dozzina di persone notizie “segrete” ricevute dal pm di Milano, Paolo Storari, nell’ambito della cosiddetta inchiesta sulla “Loggia Ungheria” in base a cui l’avvocato Pier Amara tirava in ballo nel dicembre 2019 il magistrato romano Sebastiano Ardita nel tentativo di screditarlo cucendogli addosso il vestito del massone. Ebbene l’animus pugnandi di Davigo verso il collega, secondo i giudici, è stato quello di usare quelle dichiarazioni calunniose per screditare colui che era stato anche un amico, appunto Ardita, per sbarrargli la strada professionale e ledere la sua reputazione nel momento in cui il plenum del Csm doveva nominare il nuovo Procuratore capo di Roma. “Davigo ha agito al fine di screditare Ardita in un momento delicato della vita del Csm e in un momento in cui Ardita al Csm era un ostacolo da abbattere” tuona al termine del processo il patrono di parte civile, Fabio Repici, che ha ottenuto anche la condanna di Davigo al risarcimento di 20 mila euro verso Ardita. Com’è inevitabile, vista la risonanza del caso mediatico giudiziario fin da quando era esploso nel 2020, non sono mancati i commenti al fiele da parte della politica. “Per anni Pier Camillo Davigo ci ha fatto la morale attaccando me personalmente, più volte, da numerosi studi televisivi – afferma il leader di Italia Viva, Matteo Renzi -. Oggi il giustizialista Davigo è condannato anche in Appello per rivelazione di segreto d’ufficio. Io non sono come lui, io sono garantista. E dunque gli auguro di ribaltare il verdetto in Cassazione”. Quindi l’ex presidente del Consiglio carica: “Ma il tempo è sempre più galantuomo: emerge lo scandalo dossier, i commentatori moralisti che ci attaccavano vengono condannati in appello, la Cassazione e la Corte Costituzionale ci danno ragione. Spero che sia più chiaro adesso che cosa ci hanno fatto subire in questi anni”. Mentre Maurizio Gasparri, presidente dei senatori di FI, ricorda con malcelato sracasmo come “Davigo è davvero sfortunato. Leggo che è stato condannato anche in appello. Il giustiziere dei giustizieri. Il fustigatore di ogni vicenda italiana, colui che teorizza che non esistono innocenti ma solo persone di cui non era stata provata la responsabilità. Forse era stato un profeta incompreso e parlava di se stesso”. Chi invece si augura di ribaltare il verdetto in Cassazione è l’avvocato Davide Steccanella, per il quale “continuo ad essere convinto dell’innocenza del mio assistito. Ricorreremo in Cassazione dopo avere letto le motivazioni”.
[IDE-TITOLET]LA VICENDA
[/IDE-TITOLET][IDE-TESTO]La rottura tra Davigo e Ardita si consuma nel 2020 sulla nomina del Procuratore della Capitale dopo Giuseppe Pignatone. Sotto inchiesta, sarebbe stato poi arrestato, finisce l’avvocato Piero Amara, consulente esterno dell’Eni, che infanga anche Ardita sostenendo davanti ai pm Laura Pedio e Paolo Storari che fa parte di una loggia massonica, Ungheria. Poiché il Procuratore di Milano, Francesco Greco, si muove con cautela su queste dichiarazioni perché teme la trappola di Amara, Storari che invece è convinto della fondatezza dell’inchiesta contatta il collega Davigo e gli consegna gli atti segreti per aiutarlo a dare impulso alle indagini su una pen-drive con “modalità carbonare”, scrivono i giudizi di primo grado. La responsabilità di Davigo, per le toghe, è che “possa essere stato al corrente del contenuto delle dichiarazioni ancor prima della consegna materiale” allargando “la platea dei destinatari della rivelazione” con “smarrimento della postura istituzionale” per colpire il collega Ardita col quale si era consumata la rottura dentro la corrente di “Autonomia e Indipendenza”. Davigo utilizzò “l’asserita appartenenza di Ardita” alla massoneria per affossarlo. Ma chi di giustizialismo colpisce, a volte rischia di perire.


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