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Il Paese dei salari scomparsi, i dati choc Ocse: in Italia -7%

di Giovanni Vasso -

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Altro che “andrà tutto bene”. Il Covid prima e la guerra in Ucraina poi, stanno rendendo l’Italia il Paese dei salari scomparsi. E gli italiani un popolo di poveri e sfruttati, oltre che di tartassati. L’ennesima conferma arriva dall’Ocse. L’Italia ha un problema, serissimo, con il lavoro. E, naturalmente, con le retribuzioni. I numeri non lasciano alcuno spazio all’interpretazione: nel 2022, i salari fissati e stabiliti dai contratti nazionali collettivi hanno lasciato per strada più del sei per cento del loro valore reale. Ciò è accaduto nonostante l’indicizzazione alle previsioni Istat e l’Ocse punta il dito contro il mancato rinnovo di molti dei contratti scaduti. La platea è sterminata: secondo i calcoli dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, più del 50% dei lavoratori italiani attende il rinnovo de contratto di lavoro da più di due anni. Ciò, secondo gli analisti Ocse, potrebbe “prolungare la perdita di potere d’acquisto per molti lavoratori”. Il quadro si complica ancora se si allarga lo sguardo a tutti i dipendenti. Ne esce la fotografia di una nazione “L’Italia è il Paese che ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie Ocse – scrivono gli economisti nell’Outlook 2023 -. Alla fine del 2022, i salari reali erano calati del 7% rispetto al periodo precedente la pandemia”. Ma la situazione, se possibile, si è aggravata nel primo trimestre di quest’anno, quando i “sismografi” dell’Ocse hanno registrato smottamenti del valore reale delle retribuzioni italiane pari al 7,5%. Le previsioni degli analisti tentano di rincuorare un Paese che precipita nel baratro della povertà e parlano di un aumento nominale delle paghe pari “del l 3,7% nel 2023 e del 3,5% nel 2024, mentre l’inflazione dovrebbe attestarsi al 6,4% nel 2023 e al 3% nel 2024”. Nominale, ça va sans dire, non vuol dire reale, concreto.

Un disastro, dunque. Ma dato che le disgrazie, come le ciliegie, non arrivano mai da sole, ecco la seconda. L’occupazione italiana è leggermente migliorata ma rimane gravemente sotto l’asticella media. “A maggio 2023 il tasso di disoccupazione in Italia è sceso al 7,6%, due punti percentuali in meno rispetto a prima del Covid-19, ma ancora significativamente sopra la media Ocse del 4,8%”. Cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia: “Anche l’occupazione totale è aumentata nell’ultimo anno, con un incremento dell’1,7% a maggio 2023 rispetto a maggio 2022. Tuttavia, il tasso di occupazione italiano rimane ben al di sotto della media Ocse (61% contro 69,9% nel 1° trimestre 2023)”.

L’Ocse tenta un richiamo al governo ricordando che le politiche attive del mercato del lavoro “sono un pilastro fondamentale del Pnrr” e che “se l’obiettivo iniziale di numero di persone in cerca di lavoro da prendere in carico è stato raggiunto, è ora essenziale garantire un sostegno effettivo e adeguato in tutte le regioni e rafforzare la verifica dei percorsi formativi realizzati”. È una parola. Secondo gli economisti dell’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, però, sarebbe ora che chi ci ha guadagnato con gli extraprofitti, adesso facesse il suo. “I profitti sono aumentati più del costo della manodopera in numerosi paesi, il che ha contribuito in un modo eccezionalmente importante alle tensioni sui prezzi e ha determinato una contrazione della quota del lavoro sul valore aggiunto. Nonostante il relativo aiuto arrivato grazie agli interventi pubblici, la perdita di potere d’acquisto è particolarmente problematica per i lavoratori del ceto basso. Questi ultimi hanno meno libertà di azione far fronte all’aumento dei prezzi attingendo ai propri risparmi o prendendo a prestito, e si trovano spesso di fronte a un’inflazione effettiva più elevata man mano che viene destinata una parte maggiore della loro spesa in energia e in alimentazione”. Insomma, i poveri – sempre loro – pagano la crisi. Anzi, le crisi. Perché, subito dopo il Covid, a gravare sulle tasche degli italiani (e non solo) c’è stata la crisi energetica scatenata dalla guerra tra Russia e Ucraina. “L’aggressione russa contro l’Ucraina ha contribuito a un’impennata dell’inflazione, che non è stata accompagnata da una corrispondente crescita dei salari nominali. Di conseguenza, i salari reali sono diminuiti praticamente in tutti i Paesi Ocse. In media, nel 1° trimestre 2023 i salari reali erano diminuiti del 3,8% rispetto all’anno precedente nei 34 Paesi Ocse in cui i dati sono disponibili. La perdita di potere d’acquisto ha un impatto più forte sulle famiglie a basso reddito, che hanno una minore capacità di far fronte all’aumento dei prezzi attraverso il risparmio o l’indebitamento”. Indebitarsi, a fronte di una politica monetaria improntata al rigore più assoluto come quella messa in campo dalla Bce, è una missione al limite. L’aumento dei tassi, che in Europa volano oltre il 4% come non accadeva da decenni, sta congelando l’accessibilità al credito per le famiglie. In Italia, dove i salari si sono scapicollati verso il basso, la vicenda è ancora più drammatica. E l’antica vocazione al risparmio degli italiani va a farsi benedire, per ovvie ragioni di necessità.

Insomma, sul Paese che cantava a squarciagola dai balconi riprendendosi col telefonino ed esponeva arcobaleni ottimisti al tempo del lockdown, sta calando la coltre nerissima e minacciosa della tempesta perfetta.


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