Editoriale

Il pendolo di che fo’

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

Come il pendolo di che fo’, il governo oscilla fra alfa e omega. Dove alfa suggerisce a Giorgia Meloni di congelare le polemiche sul governo seguite ai casi Santanché e Delmastro chiedendo loro un elegante passo indietro. E omega dice invece che l’atto della magistratura può essere politicizzato e che farlo porterà polemiche ma anche la quadra fra gli elettori di destra. L’effetto vittima della Giustizia ha funzionato in altre occasioni ed è un leit motiv del momento politico dall’America fino all’Europa.

Giorgia Meloni è l’unica che potrà decidere che fare. Entrambe le strade sono accidentate. Sappiamo bene che la politica non ringrazia mai dei buoni gesti, se non nell’immediato, così come sappiamo che avventurarsi lungo l’ignoto è la cosa più difficile per chi guida un paese, e ha bisogno al contrario di segnali molto chiari da seguire e di una strada dritta da percorrere. Anche perché al centro di questa bufera che riguarda anche Ignazio La Russa, ma molto poco, perché i commenti del presidente del Senato appartengono a una sfera familiare che non solo non avrà alcuna influenza sulle decisioni dei magistrati ma anzi una volta pronunciati rendono inefficace qualunque tentativo di agire all’interno dello stretto passaggio giuridico che è appena cominciato e che sarà nei prossimi mesi l’unico luogo dove la verità su quanto accaduto quella notte fra quei due giovani potrà trovare una sua dimensione di certezza almeno giudiziaria, si staglia imponente l’architettura della più ambiziosa riforma della giustizia della storia della Repubblica Italiana.

Perché dopo decenni non si intende intervenire solo su dettagli della procedura penale o sulla fattispecie dei reati ma sull’impalcatura stessa a cui è appesa la magistratura, architrave costituzionale della separazione dei poteri, in un’epoca in cui è chiaro che la politica intende riprendersi gli spazi che dopo Tangentopoli si erano ristretti. Il garantismo, la parolaccia dei tempi moderni, che come un elastico ognuno tira da che parte vuole e quanto vuole, darebbe tutta la forza culturale alla destra per pretendere che sia una sentenza definitiva a stabilire le verità giuridiche e giudiziarie rispetto ai fatti contestati dal pubblico accusatore.

Ma proprio nelle more di questa semplice verità sta l’altro colpo d’oscillazione del nostro pendolo politico, che ci porta a immaginare la fatica con cui un governo possa di fronte anche al capo dello Stato, che una riforma della giustizia la vuole ma che è in campo per garantire che essa resti all’interno dei margini della legittimità costituzionale e dell’opportunità politica, affrontare il lungo iter parlamentare sul quale l’opposizione promette una battaglia epocale se ogni giorno al centro delle cronache resteranno protagonisti pezzi da 90 di quella maggioranza che sta mettendo le mani sulla struttura stessa di quella magistratura chiamata a giudicarli.

Noi sappiamo che il premier è una tipa tosta in quanto a serrare le fila e difendere i propri uomini di fronte ad attacchi e scontri politici, così come sappiamo però che è molto infastidita dall’idea che l’elettorato che l’ha mandata al governo possa pensare che mentre lei è in giro per il mondo a cercare di portare a casa il meglio sui dossier delicati su cui l’Italia si gioca il prossimo anno in Europa possa pensare che le carte in tavola non sono tutte scoperte. E questo perché dentro Fratelli d’Italia, anche se in modo cauto e a bassa voce, più di qualcuno ritiene che il governo ma soprattutto i protagonisti dell’ultima bufera giudiziaria in ordine di tempo sarebbero molto più protetti e forti se passassero dalla parte delle vittime, lasciando che il proprio ruolo non sia il rifugio da difendere ma il presidio da tutelare.

Questa decisione non è stata ancora presa e forse non lo sarà immediatamente, ma da questa scelta dipenderà la prospettiva sulla quale il centro-destra potrà cavalcare la riforma della Giustizia attraversando con più facilità il muro della sinistra e mostrando agli italiani che alla fine si cambiano le cose non per tornaconto personale, maproprio perché ce n’è bisogno. In uno scenario come questo emergerebbero le distanze enormi che ci sono fra Pd e 5 stelle in merito alla nuova impostazione voluta da Nordio.

In caso contrario l’opposizione avrebbe gioco facile a serrare le fila alzando i tazebao dei ministri e sottosegretari sotto accusa o agitando lo spettro dell’invasione di campo a ogni fatto di cronaca che possa riguardare le inchieste che hanno coinvolto esponenti di primo livello del partito di maggioranza relativa.


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