“Il poliziotto è marcio”: storie vere di rapine e droga
La realtà supera la fantasia nella Capitale: un pugno di poliziotti valica la soglia della legalità e abbraccia il crimine
“Il poliziotto è marcio”: per loro non si sono ancora concluse le indagini e nemmeno è partito un processo ma sono già sospesi dal servizio, agli arresti domiciliari o in carcere e sono già stati etichettati dal procuratore di Roma Francesco Lo Voi come “elementi malsani delle forze dell’ordine”. Sono un pugno di poliziotti della capitale che, in servizio nel Commissariato Salario Parioli e in un altro di Roma, per i magistrati romani si sono macchiati di pesanti reati.
La finta perquisizione, la rapina nella cassaforte
Tre di loro sono accusati di rapina e perquisizione illegittima perché, utilizzando i distintivi del Corpo e fingendo una perquisizione, il 27 marzo scorso si introdussero in un appartamento in via Carmelo Maestrini, a Mostacciano. Intimato ai proprietari di rimanere nel soggiorno, aprirono una cassaforte camera da letto di cui già evidentemente conoscevano l’ubicazione e il probabile contenuto – con loro è indagato nell’inchiesta della Procura un cittadino albanese – asportandovi 35.900 euro. Subito dopo, andarono via dall’abitazione portando con loro le chiavi della cassaforte che avevano provveduto a richiudere.
La disinvolta lotta al crimine
“Il poliziotto è marcio”, titolava un film del 1974 per la regia di Fernando Di Leo. La narrativa e il cinema ci hanno raccontato per decenni, in Italia e all’estero – negli Stati Uniti, in Francia, nel Regno Unito – le vicende reali o verosimili di poliziotti che varcano la soglia della legalità diventando corrotti o teorizzando che la lotta al crimine, per essere efficace, deve essere combattuta ad armi pari, utilizzando le stesse armi dei criminali, talvolta – come è frequente ovunque nel mondo nel settore della lotta al traffico di stupefacenti, anche se non sempre queste procedure sono condivise con i propositi della magistratura – abbracciando per sempre o temporaneamente la causa e l’economia criminale di una banda per riceverne informazioni su un’altra da contrastare o sbaragliare. E’ questo lo scenario che, a tratti, emerge nella vicenda che la Procura di Roma, puntando a denunciare la corruzione dei poliziotti, ha ieri collegato alla prima della finta perquisizione messa in atto per rapinare una cassaforte.
Una tonnellata e mezza di droga
Un blitz nella Capitale ha portato ad individuare un traffico di hashish e marijuana che aveva al centro del suo triangolo la Spagna, il Marocco e Roma e che era arrivato a movimentare una tonnellata e mezza di droga. Sedici persone sono coinvolte nell’inchiesta, tra loro – uno in carcere e uno ai domiciliari – altri due poliziotti, mentre altri cinque sono indagati. Tutta la banda aveva basi principali nei quartieri Casal Boccone e Fonte Meravigliosa, il blitz di ieri ha portato al sequestro di oltre 700 chili di droga. I carichi, arrivati con trasporti transfrontalieri garantiti da automobili e furgoni, venivano girati a gruppi che operavano nei quartieri Alessandrino e Castel Romano che poi la distribuivano nelle piazze di spaccio di Don Bosco, Pigneto, Spinaceto e Capannelle e nelle province di Roma e Latina. Nella banda, ciascuno aveva un ruolo, i poliziotti sono accusati di essersi ritagliati quello di una disinvolta gestione delle operazioni di controllo, omettendo i sequestri d’obbligo o – come nell’episodio preciso che viene loro contestato – di non averne registrato uno da 60 chili per poi girare il carico a un gruppo della banda in cambio di informazioni per catturarne un altro.
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