Il Risveglio Tardivo dell’Europa: dalla Crisi Tedesca alle “miniere urbane”, serve pragmatismo
di Giovanni Battista Raggi
Dobbiamo avere il coraggio di guardare la realtà con onestà intellettuale, togliendoci gli occhiali dell’ideologia per indossare quelli del pragmatismo industriale. La supremazia cinese nella mobilità elettrica non è un accidente della storia. È il risultato matematico di una pianificazione strategica iniziata quindici anni fa, mentre l’Europa si perdeva in un valzer di incertezze normative.
Basta leggere le agenzie di questi giorni per capire che il tempo delle discussioni accademiche è finito. Il grido d’allarme lanciato dall’industria tedesca – con storici colossi che per la prima volta evocano lo spettro della deindustrializzazione e la chiusura di stabilimenti nel cuore dell’Europa – è una doccia fredda che non possiamo ignorare. Se la “locomotiva d’Europa” si ferma, travolta dai costi energetici e dalla concorrenza asiatica, l’intero convoglio deraglia.
È in questo scenario di emergenza che va letta la notizia clou che proviene dall’Europa: la decisione dell’UE di rivedere il dogma dello stop al motore termico nel 2035, aprendo alla neutralità tecnologica (Biofuel ed E-fuel). È la prova che la politica dei divieti ciechi ha fallito. Ma attenzione: questa retromarcia è un atto di sopravvivenza, non una strategia di lungo termine. Salva il presente, ma non costruisce il futuro.
La domanda vera non è “se” l’elettrico vincerà, ma “chi” governerà il mercato. Oggi la risposta è scritta in mandarino. Pechino ha trattato l’auto elettrica come una politica industriale, l’Europa l’ha trattata come una bandiera ideologica. I cinesi hanno blindato le materie prime, la raffinazione e la tecnologia delle batterie LFP (più economiche e sicure), usando la leva pubblica per creare campioni nazionali. Noi abbiamo demonizzato il nostro vantaggio tecnologico (il motore termico) senza avere pronta un’alternativa accessibile.
Ma piangersi addosso non serve. Serve guardare avanti con lucidità, partendo da un dato ambientale spesso ignorato: un’auto elettrica è ecologica solo quanto lo è l’energia che la alimenta e la fabbrica che la produce. Se importiamo batterie cinesi fatte col carbone, stiamo solo delocalizzando l’inquinamento.
E qui si apre la vera, grande opportunità per l’Italia, che unisce tutela ambientale e rilancio industriale: il riciclo delle batterie.
Serve sfatare il falso mito delle batterie come future “bombe ecologiche”. Per l’Europa, povera di materie prime nel sottosuolo, le batterie esauste sono la più grande risorsa strategica. Tra dieci anni ne avremo tonnellate circolanti: sono le nostre “miniere urbane”.
Le moderne tecnologie idrometallurgiche permettono già oggi di recuperare oltre il 90% di litio, cobalto e nichel, reimmettendoli nel ciclo produttivo con un impatto ambientale irrisorio rispetto all’estrazione mineraria. Il Regolamento Batterie UE ci impone target severi di recupero: non dobbiamo vederlo come un vincolo burocratico, ma come la base per una nuova filiera in cui l’Italia – storicamente maestra nell’economia circolare e nel recupero di materia – può e deve diventare leader europeo.
La lezione che arriva dalla crisi tedesca e dalla rincorsa cinese è chiara: la transizione non si fa per decreto, si fa con gli investimenti, con la tecnologia (tutta, inclusi i biocarburanti) e chiudendo il cerchio dei materiali. La Cina corre da 15 anni; noi abbiamo appena smesso di inciampare nei nostri stessi lacci. Ora dobbiamo iniziare a correre sul serio.
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