Editoriale

Ingiustizia a orologeria

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


C’è un problemino giustizia che si chiama orologio. Di fronte a qualunque accusa lo scontro politico dura in media 5 settimane, poi a nessuno frega più nulla. Un governo in Italia, salvo eccezioni, dura in media due anni e mezzo poi o cade o comunque cambia, almeno qualche pezzo forte. Un processo penale per giungere a una sentenza di Cassazione dura in media 1500 giorni, cinque anni circa, cui bisogna aggiungere un bel annetto di indagini.

In un Paese del genere, dove la verità giudiziaria prevista dalla Costituzione arriva sempre e comunque a babbo morto, mentre tutto lo scontro sulle accuse che si basano sul punto di vista degli inquirenti e di nessun altro ha l’immediatezza dei fatti, non potrà mai trovare un equilibrio e quindi una regola di buon senso e di rispetto per i cittadini che valga per tutti. È ovvio che in assenza del giudizio definitivo e terzo che la nostra Carta assegna alla magistratura, il resto è opinione. Per cui da una parte abbiamo chiavi di lettura più o meno bacchettone che vorrebbero dimissioni di fronte alla prima parolaccia, e di qua gente che invoca il garantismo anche di fronte all’omicidio plurimo filmato da un telefonino perché, come è di moda dire in questi tempi, uno è innocente fino in Cassazione.

Poi portiamo ad esempio altri Paesi, dove invece c’è una morale pubblica che prevede passi indietro per molto meno di una sentenza. Questo è vero però bisogna anche dirsi la verità sul fatto che si tratta di tradizioni giudiziarie che non massacrano gli indagati facendo uscire sui giornali anche la marca dei preservativi e l’elenco degli amanti, oltre che di tradizioni democratiche che prevedono che un processo duri meno possibile, proprio perché è il tempo la variabile che rende il giudizio pubblico disancorato da quella che comunque sarà una realtà giuridica quando ormai lo scontro e le eventuali decisioni si saranno consumato e prese.

Ecco che proprio di fronte al solito caos italiano per cui al centro della politica in un modo o nell’altro finiscono sempre i magistrati sarebbe oggi necessario sostenere una riforma della Giustizia che può dividere i partiti e gli schieramenti nel merito dell’utilizzo delle intercettazioni o sulla separazione delle carriere, ma dovrebbe vederli uniti in modo indissolubile sulla necessità di arrivare a un adeguamento della procedura penale che consenta di aprire la sentenza definitiva entro un tempo ragionevole e inferiore ai due anni. Questo non succederà mai, per cui prepariamoci all’ennesima stagione delle sparate pro e contro, basate su ideologie, interessi di questo o quell’editore, smania di click, tempo da perdere.

Tanto ormai sappiamo che anche l’alluvione dell’Emilia Romagna è sparita in pochi giorni dalle prime pagine e dalle televisioni, per non parlare di Ischia che è bella e dimenticata come fosse successa nel secolo scorso, così come lo youtuber di Casal Palocco se ne sta in casa agli arresti ma di tutto il clamore e le grandi rivoluzioni promesse in nome di quel clamore nel giro di una decina di giorni non si sente più fiatare. Perché questa è l’Italia, è sempre stata così e resterà così. E allora smettiamola di parlare di giustizia a orologeria. Perché l’orologio della legge rimane indietro rispetto alla realtà del quotidiano. E questo è un male per il Paese e per milioni di cittadini normali che magari non finiscono sui giornali ma che si vedono la vita congelata per anni mentre ognuno di noi pensa di avere capito chi sono i buoni e chi sono i cattivi.


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