Dossier Ai

Meloni e la sfida globale dell’Ai che passa per l’Italia

di Giovanni Vasso -

RISHI SUNAK PRIMO MINISTRO INGLESE, GIORGIA MELONI


L’intelligenza artificiale cambierà il mondo. Non per forza in meglio. Anzi, se si lascia fare, se non si impongono regole chiare, si rischia di ritrovarsi ad affrontare qualche problema di troppo. Giorgia Meloni è arrivata a Londra, al summit internazionale convocato dal premier britannico Rishi Sunak, per fare il punto della situazione sull’Ai. Per l’Italia, si prospetta un ruolo da protagonista. L’Italia presiederà il prossimo G7 e l’occasione è di fondamentale importanza per ritagliare, al nostro Paese, un ruolo chiave nell’individuazione delle regole condivise, a livello internazionale, per dare una cornice legale a quella che si prospetta come un’autentica rivoluzione. Economica e politica.

Giorgia Meloni, da Bletchey Park, ha innanzitutto fatto il punto sulla strategia italiana verso l’Ai. “E’ una priorità”, ha rassicurato la premier che ha spiegato come il governo sia al lavoro per “completare” il piano strategico nazionale. Che dovrebbe poggiare su due pilastri fondamentali. L’individuazione delle regole, di un quadro giuridico, demandato all’Agenzia italiana per il digitale a cui collaboreranno le commissioni di esperti incaricati dal governo. Il fundraising, la ricerca dei capitali, coi quali finanziare i progetti di ricerca, le start-up e le infrastrutture digitali. In quest’ultimo campo, un ruolo decisivo dovrebbe essere giocato da Cassa Depositi e Prestiti, a garanzia di una natura pubblica degli investimenti. Meloni ha ribadito la necessità di “un fondo specifico per sostenere le start-up italiane del settore” e del dialogo, serrato, con l’Ue per trovare una cornice giuridica nazionale che sia armonica rispetto all’Ai Act, il regolamento comunitario che l’Europa si accinge a licenziare entro fine anno. Salvo complicazioni. Le solite: dopo il voto in parlamento, a giugno scorso, la palla è passata al solito trilogo. Dove, però, si stanno scontrando argomentazioni uguali e contrarie. La presidenza spagnola del Consiglio Ue ha assicurato che l’iter si concluderà entro la fine del 2023. La prossima riunione è in programma il 6 dicembre. Tre però sono i punti fissi dell’Ai Act: il divieto totale dell’uso degli algortimi per la sorveglianza biometrica, il riconoscimento delle emozioni e la polizia predittiva; l’imposizione ai sistemi Ai come ChatGpt di specificare che l’origine “artificiale” di un contenuto; il “no” categorico alla costituzione di database di dati sensibili e di categorizzazioni basate su orientamento politico, religioso o su base etnica. Ma le implicazioni sono tante e tali, in ogni ambito, persino quello politico e individuato nelle “elezioni a rischio” dall’Ue, che il dibattito è lungi dall’essere concluso. Occorre però sottolineare che, al netto dei bizantinismi e della solita guerra dei lobbisti, Bruxelles è stata la prima entità politica a dotarsi di un regolamento sull’Ai.

L’esperienza Ue, mediata dall’Italia, potrebbe informare la base di un lavoro comune, che riguardi tutto il globo, per la regolamentazione della tecnologia più impattante degli ultimi anni. Meloni ne è convinta e ha affermato di volere un’Ai che “promuova lo sviluppo e l’inclusione invece che la disoccupazione e l’emarginazione”. Una ricerca del Kenan Institute riferisce che l’utilizzo senza regole dell’intelligenza artificiale potrebbe costare all’Occidente, inteso come Usa ed Europa, qualcosa come 300 milioni di posti di lavoro. E a rischiare di più sarebbero le donne. Meloni ne è consapevole: “L’Ai prefigura un mondo in cui il progresso non ottimizza più le capacità umane, ma rischia di sostituirle. E se in passato questa sostituzione riguardava soprattutto il lavoro fisico ora è l’intelletto che rischia di essere sostituito, impattando anche sui lavoratori altamente qualificati”. La premier italiana non vuole questo. E rilancia affermando che una delle priorità deve essere quella di evitare che l’Ai “crei un divario ancora più grande tra ricchi e poveri”. La classe media, già messa alle corde dalla digitalizzazione, “rischia di essere cancellata”.

Oltre ai problemi economici, l’intelligenza artificiale comporta una serie di questioni che riguardano da vicino la sicurezza degli Stati. Meloni sottolinea che l’Ai potrà “incidere marcatamente sugli scenari geopolitici” perché chi la utilizza avrà “un vantaggio competitivo” di fondamentale importanza strategica. Pertanto, ha spiegato la premier, il primo punto è far sì che l’Ai sia incentrata e “controllata dall’uomo” con “meccanismi di governance multilaterali”. In poche parole, ci vuole etica anzi “algoretica” per governare il fenomeno e far sì che non diventi una “zona franca senza regole”. Che potrebbe rappresentare un terreno d’azione per bande di cyber criminali che potrebbero “produrre armi, danni biologici a bassa tecnologia, attacchi informatici e personalizzare il phishing”.


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