“La dea Temi regge una bilancia, non una clessidra”. Intervista a Raffaele Della Valle sulla riforma della Giustizia
“La riforma della giustizia porterà il nostro Paese a livello delle altre democrazie dove sul ring sul quale devono comparire un pugilatore, un altro pugilatore e l’arbitro, ognuno avrà la sua rispettiva funzione di indipendenza e di autonomia. Ciò dà al giudice la responsabilità di arbitrare senza farsi influenzare da colui che invece attualmente è molto contiguo con lui e quindi lo condiziona e non poco. Quindi, indipendenza del pm, indipendenza del magistrato e indipendenza dell’avvocato, ciascuno nel proprio alveo. Oggi, invece, l’affinità tra giudice e pm crea una corrispondenza e un condizionamento che non danno garanzie ai cittadini”. Arriva subito al dunque l’avvocato Raffaele Della Valle, storico legale di Enzo Tortora e tra i fondatori del Comitato referendario SìSepara promosso dalla Fondazione Einaudi.
In cosa si sostanzia questo condizionamento?
“Dopo Mani Pulite il pubblico ministero è divenuto, a torto o a ragione, una figura di grande prestigio presso l’opinione pubblica e quindi la sua immagine influisce sull’organo giudicante, perché trova un riscontro di affidabilità e di attendibilità da parte quei cittadini che hanno attribuito a questa figura un ruolo quasi purificatore della società. Il pm ha dunque assunto, quanto meno a livello psicologico, una forte incidenza su quei magistrati che vivono una sorta di soggezione, anche perché fanno parte dello stesso Consiglio Superiore della Magistratura. Questo crea un minimo comune denominatore tra pm e giudici, tanto che di frequente l’accusa ottiene quanto chiede al magistrato. Se, per fare un esempio, la difesa dimentica di presentare la lista dei testimoni la situazione è difficilmente recuperabile, se lo fa l’accusa in qualche modo si recupera. Insomma, il pm è sicuramente agevolato nella sua funzione e questo non risponde a quello che dice la Costituzione”.
Su questo stato di cose influisce anche il peso delle correnti?
“La più parte dei magistrati lavora in silenzio, studia, scrive le sentenze e si tiene lontana dai riflettori mediatici. Bisogna però aggiungere che una parte della magistratura inquirente è entrata a gamba tesa nell’agone politico attraverso le correnti e alla loro degenerazione che, nel tempo, le ha trasformate in partiti che fanno perdere alla magistratura la propria indipendenza. Per questo oggi le correnti andrebbero sciolte. Il legislatore ha imposto ai magistrati di non iscriversi ai partiti politici, perché non farlo anche per le correnti? Il magistrato non solo deve essere indipendente, ma deve anche apparire indipendente. E come può dirsi tale se si fanno gli scioperi di piazza, manifestazioni contro il governo o chiaramente a favore di un partito politico? Vogliamo prenderci per i fondelli o vogliamo veramente affrontare questo problema?”.
Quale è la strada migliore secondo lei?
“Io sono per il dialogo, però il dialogo deve essere serio e onesto. Occorre più prudenza, più umiltà, meno arroganza. E in questo la riforma serve perché una volta costituito il Csm del pm, indipendente da quello dei giudici, i pubblici ministeri potranno approfondire lo studio non solo delle norme processuali che vengono applicate rigidamente, senza animo, senza cuore, ma anche iniziare e rendersi conto delle ripercussioni che una loro richiesta o un loro provvedimento può avere, anche psicologicamente sull’indagato. Tanto più se riguarda un innocente. Ancora oggi quando entro in tribunale sento l’aria pesante del Medioevo, che non sento, invece, quando esco ‘a riveder le stelle’: ove respiro invece l’aria stimolante e frizzante che proviene dalla società civile. A ben guardare il mondo giudiziario molto spesso si ha la sensazione che lo stesso proceda velocemente con il passo del gambero”.
Molti dei contrari alla riforma della giustizia, per lo più a sinistra, sostengono che non interviene su temi importanti, come i tempi dei processi. Inoltre, contestano si cambi la Costituzione.
“La giustizia con la ‘G’ maiuscola non è né di destra né di sinistra, è per tutti. La dea Temi, non ha in braccio la clessidra a voler dire che la cosa più importante è la velocizzazione, ma la bilancia. Accelerare i processi è giusto, ma prima facciamo questa riforma che guarda alla bilancia, a una giustizia giusta, poi approcceremo alla clessidra per avere una giustizia anche veloce. E finiamola con le ipocrisie. La Costituzione è la nostra più bella carta, ma come tutte le carte è oggetto di usura. Un abito bellissimo dopo un po’ di anni ha bisogno di essere ripreso, magari perché le asole si sono un po’ slabbrate. Allora, perché strapparsi le vesti per una modifica che potrebbe migliorare la situazione? Anche perché la collocazione del pm così come è stata finora non ha dato garanzie né di indipendenza né di autonomia. Ci sono stati troppi buchi neri che evidentemente fanno riflettere”.
Lei è stato l’Avvocato di Enzo Tortora. C’è un nesso tra gli errori giudiziari e l’esigenza di separare le carriere prevista dalla riforma della giustizia?
“Quello di Enzo Tortora è stato un caso non di errore, ma di orrore giudiziario. Tutti sbagliamo, ma quando l’errore è reiterato volontariamente al fine di perseguire la situazione favorevole all’intuizione sbagliata del pm allora siamo in un altro settore. Il risultato del primo grado di giudizio è stato semplicemente la vittoria dell’arroganza, dell’ignoranza, della scarsa professionalità, dell’impreparazione e della mancanza di umiltà. Non si è avuto il coraggio di dire ‘ho sbagliato’. Perché, ancora oggi, l’unica professione immune da responsabilità è quella del magistrato, mentre tutte le altre sono soggette non solo a controllo, ma molto spesso anche persecuzioni”.
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