Politica

PRIMA PAGINA – La commissione di Giorgia

di Giuseppe Ariola -


Chi sostiene che la freddezza di parte della maggioranza rispetto all’istituzione una commissione parlamentare di inchiesta sul caso dossieraggio sia imputabile a scarso coraggio o alla volontà di abbassare toni e attenzione su uno dei più grossi scandali italiani dimostra scarso acume politico. Qualità che non manca, invece, a Giorgia Meloni e ai suoi sherpa a Palazzo Chigi. Per comprendere bene la strategia del presidente del Consiglio basta tastare gli umori e le aspettative nel giorno della prima riunione di un’altra commissione di inchiesta, quella sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. In Transatlantico tutti – o quasi – hanno le idee molto chiare: “Non servirà a nulla”. Senza contare che questi organismi, è opinione comune e trasversale tra i parlamentari più navigati, necessitano di molto tempo per entrare a pieno regime e lo stesso iter per la loro costituzione richiede mesi. Poi si pone un problema politico, ovvero a chi affidare la presidenza della commissione che potrebbe essere rivendicata anche da qualche partito di opposizione. Questo vale tanto più per l’inchiesta di Perugia che richiama altre recenti vicende opache sulla consultazione, quantomeno dubbia, e la divulgazione di dati riservati. Non a caso Italia Viva è tra i maggiori sponsor di una commissione parlamentare di inchiesta, soprattutto a seguito delle attenzioni di cui è stato oggetto Matteo Renzi.

Già questo è un primo importante elemento utile a comprendere la timidezza di chi è scettico verso l’ipotesi di una commissione parlamentare di inchiesta, tanto più viste le ricerche illecite di cui è stato vittima il centrodestra in momenti politicamente e istituzionalmente fondamentali: a ridosso dell’elezione del Presidente della Repubblica, con il confezionamento di dossier su Silvio Berlusconi ed Elisabetta Casellati, poi durante la campagna elettorale delle ultime politiche e anche nel corso di settimane cruciali per la formazione del governo. E’ evidente che l’attuale maggioranza non abbia alcuna intenzione di correre il rischio di vedere affidate all’opposizione le redini di un approfondimento parlamentare su questi fatti. Tanto più se, badando più alla sostanza che alla forma, caratterista spesso propria di chi è cresciuto a pane e politica, è possibile procedere percorrendo una seconda strada, quella della commissione antimafia saldamente nelle mani di una fedelissima come Chiara Colosimo.

D’altronde, è proprio dalle stanze di questo organismo che, con le audizioni del procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, e quella del titolare della procura di Perugia, Raffaele Cantone, si è iniziato a diradare un quadro che si è dimostrato ancora più torbido, complesso e ingarbugliato di quanto si pensasse. Potrebbe quindi non essere una casualità l’annunciata lunga serie di audizioni in commissione parlamentare antimafia tra cui quella del Guardasigilli Carlo Nordio, del ministro della Difesa, Guido Crosetto, e del comandante generale della Guardia di Finanza, generale Andrea De Gennaro, fissata per venerdì prossimo. Sembra, anzi, la conferma della volontà che sia proprio questa la sede parlamentare designata a procedere con gli approfondimenti del caso, ferma restando l’inchiesta della magistratura che sta procedendo su due filoni, uno a Perugia e un altro presso la procura della Repubblica capitolina.

Una cosa però è certa, il Parlamento deve essere investito a pieno titolo della questione, perché “in questo momento – ha ricordato ieri il ministro Crosetto rispondendo al question time in Senato – le persone che amministrano la giustizia, la polizia giudiziaria, le persone che hanno accesso a queste banche dati, tutti noi, veniamo coinvolti da una delegittimazione complessiva. Va ripristinata la credibilità delle istituzioni nel suo complesso”. Difficile immaginare che a Palazzo Chigi la pensino diversamente.


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