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La Corte EDU ha escluso la responsabilità italiana per fatti commessi in Libia

di Michele Gelardi -


La Corte europea per i Diritti dell’Uomo, con la sentenza pronunciata pochi giorni fa sul ricorso n.21660/18, ha posto un freno alla pretesa di annullare, in ambito internazionale, il principio di responsabilità, a somiglianza di quanto avviene in ambito nazionale. Il paradigma basilare della convivenza, che attribuisce la responsabilità giuridica degli effetti all’autore del fatto che ne costituisce la causa, ha subito nel diritto interno una progressiva erosione, sotto l’incalzare del concorrente principio di “tutela”. Un tempo la figura del tutore, che assumeva la responsabilità del fatto altrui, riguardava solo i rapporti tra adulto e minore, oppure tra capace e incapace d’intendere e di volere.

Dalla tutela alla deresponsabilizzazione: il rischio del “sostituto d’imposta” internazionale

Oggi la figura del tutore compare in ogni ambito della vita e i “minorati”, sottratti alla responsabilità delle proprie azioni, costituiscono una parte consistente della popolazione. Basta qualche piccola osservazione: la figura del sostituto d’imposta “immunizza” il dipendente in ordine alla tassazione del reddito da lavoro, rendendolo “minorato” al cospetto del datore di lavoro gravato di responsabilità; innumerevoli posizioni di “garanzia” attribuiscono la responsabilità del fatto altrui al controllore-vigilante, a prescindere dalla sua possibilità effettiva di modificare il corso degli eventi. Tale processo di erosione e perfino annullamento della responsabilità individuale trova la sua giustificazione ideale nell’alveo della cultura politica di stampo socialista, la quale intende riservare alla res publica la cura degli interessi del cittadino dalla “culla alla tomba”, dimenticando che costui, dal diciottesimo anno dopo la “culla” fino a un giorno prima della “tomba”, è capace d’intendere di volere.

Ovviamente la cura della res publica consiste nell’affidargli un tutore, sottraendogli la possibilità di discernere la via per soddisfare il proprio interesse, divenuto nel frattempo una sorta di interesse del popolo. Il medesimo schema mentale avrebbe dovuto essere applicato alle relazioni internazionali, secondo l’avviso dei ricorrenti. La dinamica dei fatti del 2018 è risaputa. È certo che il danno lamentato dai ricorrenti è stato cagionato, non già dalle autorità italiane, bensì per mano libica, dopo l’intervento della guardia costiera libica.

Perché mai avrebbe dovuto risponderne il “tutoreitaliano? Secondo la difesa dei ricorrenti, il trasferimento di responsabilità sarebbe stato la conseguenza necessaria dell’aiuto che l’Italia ha prestato alle autorità libiche, ai fini del controllo dello specchio di mare di loro competenza, concretizzatosi anche nella donazione di imbarcazioni da adibire a guardia costiera. Essendo ben chiaro che il bene materiale strumentale è cosa ben diversa dalla gestione dello stesso, ossia dalla scelta dei fini dei quali il bene è strumento; che l’aiuto prestato in fase di preparazione, è cosa ben diversa dalle determinazioni adottate in fase esecutiva dall’organo che dirige le operazioni; che il dovere di custodia grava su chi custodisce e non già su chi ha precedentemente contribuito alla formazione professionale del custode; risulta assolutamente pretestuoso l’assunto che gli eventi si sarebbero verificati sotto la c.d. egida delle autorità italiane.

La parola “egida”, suggestiva e indeterminata, non risulta utilizzata a caso, giacché non si poteva invocare la sovranità italiana sullo specchio di mare di competenza libica. Si trascura un piccolo particolare: nel vocabolario del diritto internazionale trovano ingresso le parole “sovranità” e magari “protettorato”. Ma fin quando un trattato internazionale non istituisce un rapporto di protettorato, non è consentito invadere la sfera di sovranità di un altro Stato. Un’altra bella parola, non meno suggestiva e indeterminata, è stata mutuata dal gergo finanziario. L’Italia avrebbe realizzato un’operazione di “pullback”; ma questa parola designa uno scostamento momentaneo da un trend di lungo periodo; mentre l’Italia ha prestato sostegno economico e logistico proprio per l’esatto opposto (formazione di una guardia costiera autonoma). La grande “confusione delle lingue” emerge infine, considerando che il principio di autodeterminazione dei popoli ha come suo correlato necessario la responsabilità diretta di ogni Stato sovrano; il che ovviamente inibisce la nascita del “sostituto d’imposta” internazionale.


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