Politica

La guerra tra Israele e Iran resta al centro del dibattito politico

di Giuseppe Ariola -


Proprio come lunedì alla Camera, anche ieri al Senato il dibattito sulle comunicazioni di Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno è stato tutto sommato pacato. Come ovvio, gran parte della discussione è stata incentrata sul recente fronte di guerra tra Israele e Iran che per la velocità della sua evoluzione rende oggettivamente complicato il confronto parlamentare. Già rispetto al giorno precedente, quando la premier ha preso la parola nell’Aula di Palazzo Madama, il contesto in Medioriente era infatti mutato come ha fatto presente la stessa Giorgia Meloni ricordando che fino a poche ora prima si era dinanzi a uno scenario “che andava esattamente nella direzione, diciamo, che auspicavamo e nella direzione per la quale stiamo lavorando”, ovvero quella di una tregua propedeutica alla fine delle ostilità. L’annuncio di uno stop di 12 ore ai bombardamenti era giunto dallo stesso presidente Usa Donald Trump, poi sconfessato dai fatti. L’Iran ha violato la tregua e, di conseguenza, lo stesso è stato fatto da Tel Aviv con l’inquilino della Casa Bianca che è andato su tutte le furie e, dopo un colloquio con Benjamin Netanyahu ha addirittura messo in dubbio la buona fede israeliana. È, insomma, questo il quadro caotico nel quale si è svolto l’appuntamento della Presidente del Consiglio al Senato. Un contesto decisamente incerto, in continua evoluzione e che richiede senza dubbio prudenza e moderazione. Proprio per questo, nel solco dei modi e dei toni già utilizzati lunedì alla Camera, anche a Palazzo Madama la premier ha scelto un approccio soft, al quale si sono adeguati, pur nella diversità di vedute, più i meno tutti i gruppi parlamentari. Non è mancato però chi ha voluto invece incalzare il governo e in particolare Giorgia Meloni e il suo vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani. Come ampiamente prevedibile – e come avevamo annunciato – Matteo Renzi, oltre a contestare l’attuale ruolo dell’Italia nel contesto internazionale, è tornato sul caso Paragon rilanciando l’accusa secondo la quale il governo sarebbe responsabile dello spionaggio subito da alcuni giornalisti attraverso uno spyware israeliano. Poi il leader di Italia viva ha preso di mira il titolare della Farnesina, ipotizzando porti “sfortuna” e accusandolo di risultare intempestivo nelle dichiarazioni sulla guerra tra Israele e Iran, perché non coinvolto in alcun modo dai partner dell’Italia. “Quando viene in Aula fa il solito spettacolo alla Chiambretti” commenta qualche big della maggioranza al bar dei senatori. Ciononostante, Giorgia Meloni ha mantenuto un approccio aperturista al confronto, evitando di replicare alle provocazioni di Renzi, nella convinzione che “questo è il tempo in cui bisogna provare a ragionare il più possibile insieme”. A proposito di uno dei dossier caldi a Bruxelles, quello della difesa comune, che sarà tanto più centrale sul tavolo del prossimo Consiglio europeo dopo l’apertura di un nuovo conflitto alle porte dell’Ue (la guerra tra Israele e Iran oltre a quella tra Russia e Ucraina), la premier ha detto di pensarla “come i romani: si vis pacem para bellum. Quando ti doti di una difesa non lo fai per attaccare qualcuno. Se si hanno sistemi di sicurezza e difesa solidi si possono più facilmente evitare dei conflitti”. L’idea di utilizzare la politica del riarmo come una strategia di deterrenza ha incontrato il favore di Carlo Calenda che, nel corso del suo intervento al Senato, dopo essersi espresso con durezza nei confronti di Trump, ha dichiarato di condividere “larga parte di quello che ha detto il governo” e ha fatto sapere che Azione si esprimerà “a favore dell’aumento delle spese per la difesa”. Posizione espressa anche nella risoluzione presentata da Azione che, a differenza delle altre cinque presentate rispettivamente da Pd, Avs, M5S e Italia viva, è stato l’unico documento tra quelli presentati dalle opposizioni – che anche in questo caso confermano molteplici divisioni – a essere approvato, seppur con qualche riformulazione del governo. Stesso esito favorevole, ovviamente, è toccato alla risoluzione di maggioranza che ha superato la prova del voto senza problemi.


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