Economia

La muraglia Ue fa inferocire la Cina

di Giovanni Vasso -


L’Ue vuole erigere una barriera, anzi una muraglia con la Cina. È necessario, dicono da Bruxelles, applicare un “filtro geopolitico” per calibrare le strategie economiche del Vecchio Continente. Al fortino di Bruxelles, però, c’è già chi lavora ai ponti levatoi. Non si può, di punto in bianco, ritirarsi in buon ordine dalla Cina. Né, tantomeno, pretendere che Pechino faccia un passo indietro rispetto ai suoi investimenti in Europa. Decenni di delocalizzazione hanno sortito effetti che, oggi, non si possono cancellare con un bel discorso sullo Stato dell’Unione o con una forte presa di posizione di una Commissione prontissima a rispondere alla chiamata dell’alleato Usa.

L’Ue deve riconquistare “il controllo del proprio destino” in un contesto internazionale pervaso da “una maggiore concorrenza tecnologica”. Parole che non sono arrivate da chissà quale spauracchio sovranista. Ma dalla vicepresidente della Commissione, Margrethe Vestager, che il 20 giugno scorso era ancora in carica prima di prendersi una vacanza non retribuita per concorrere, da una posizione fin troppo privilegiata, alla presidenza della Banca europea degli investimenti. Vestager, in una riunione il cui verbale è stato reso noto dall’Adn Kronos, ha sottolineato l’urgenza di salvaguardare l’Ue “dall’uso come arma dell’interdipendenza economica da parte di Paesi terzi”. Quali? Qui l’Ue utilizza la vecchia e proverbiale prudenza che fu del clero: si dice il peccato, non il peccatore. Anche se sanno tutti a chi ci si riferisce. Ancora Vestager: “Sebbene la strategia non menzioni alcun Paese specifico per far fronte ai rischi è comunque necessario un filtro geopolitico. I rischi individuati finora si basano sulla situazione di alcuni Paesi terzi e riguardano, ad esempio, l’uso di tecnologie civili per scopi militari, l’uso improprio della tecnologia in modo tale da compromettere i diritti umani e i rischi derivanti dalla sicurezza informatica e dallo spionaggio industriale”. Nella guerra dei chip e dei software, l’Ue prende le parti degli Usa. Ma il tema è molto più ampio. E, come al solito, quasi negletto dal dibattito pubblico. È quello del reshoring, cioè del rientro, in Europa, delle delocalizzazioni che nel corso degli anni hanno popolato il resto del mondo di fabbriche. L’Alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell sapeva, fin da allora, che una strategia simile sarebbe stata come fumo negli occhi del Dragone cinese. E pertanto, nel corso della riunione, ci ha tenuto a puntualizzare come elemento di “massima importanza” il fatto che “i partner comprendano che rafforzare la sicurezza economica dell’Ue non è una mossa protezionista, ma che l’intenzione è piuttosto cooperare con una vasta gamma di Paesi terzi, anche con quelli che non condividono gli stessi valori”. Non è qualcosa di poco conto se il “re” dei falchi Ue, il lettone Valdis Dombrovskis, durante una visita istituzionale a Shangai, ha sentito il dovere di puntualizzare che “il de-risking non è il decoupling: l’Europa non ha alcuna intenzione di sganciarsi dalla Cina”. Pure se, decenni di laissez-faire hanno portato, oggi, la bilancia commerciale a pendere, decisamente, dalla parte di Pechino. Bruxelles, infatti, patisce uno squilibrio commerciale quantificato in circa 400 miliardi di euro all’anno. Dombrovskis, in Cina, ci è andato per rispondere alle autorità cinesi circa le dichiarazioni della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che aveva annunciato un’inchiesta sul dumping cinese ai danni dell’Europa in materia di auto elettriche.

La missione di Dombrovskis non sembra aver sortito chissà che grandi effetti. Altro che distensione, il portavoce dei ministero cinese degli Esteri, Wang Wenbin ha ribadito, a proposito dell’annunciata inchiesta Ue sull’automotive, che “la Cina è sempre stata contraria a qualsiasi forma di protezionismo commerciale e che le misure adottate dall’Ue non contribuiscono alla stabilità della catena globale dell’industria automobilistica e della catena di approvvigionamento, né sono nell’interesse di nessuna delle parti coinvolte”. Occhio, che salta tutto. Wang Wenbin ha rincarato la dose: “La Cina esorta l’Unione Europea a mantenere la stabilità globale dell’industria e della catena di approvvigionamento, nonché a preservare il partenariato strategico globale tra la Cina e l’Europa. Invita inoltre l’Ue ad avviare un dialogo e una consultazione con la Cina al fine di creare un contesto di mercato equo, non discriminatorio e prevedibile per promuovere lo sviluppo condiviso dell’industria dei veicoli elettrici tra Cina ed Europa e ad opporsi congiuntamente al protezionismo commerciale”. Una posizione dura che non sembra ammettere margine di trattative. La muraglia Ue rischia già di mostrarsi inutile se Pechino minaccia di tagliarle i viveri, lasciandola isolata dalle supply chain che contano. L’Europa si è svegliata troppo tardi?


Torna alle notizie in home