La questione meridionale è ancora senza “Meridionalismo”
Il Rapporto che ogni anno lo Svimez rende al Paese è la rigorosa estensione di un servizio quasi secolare, la puntuale proiezione di una riflessione critica sulla condizione di economia e società nel Mezzogiorno. Lo spettro documentato di letture dei tempi, dei flussi, delle congiunture e dei fattori strutturali che fanno del Sud una permanente scommessa per il Paese. Una analisi anche quest’anno fluttuante fra indizi di crescita, resilienza e “routine” fin troppo noti e ricorrenti.
In ogni caso il contributo che lo Svimez offre alla consapevolezza di Governo e Istituzioni è patrimonio prezioso. Si iscrive dentro i grandi cicli dell’economia vissuti e censiti dall’interno e in sequenza. Dai tempi di Saraceno la “sequenza” si esprime nel valore provvidenziale che sono andati assumendo nel Sud i motori industriali. Era l’industrializzazione il vettore che poteva assicurare le necessarie risorse per la crescita e l’innovazione. Il tempo ha poi arricchito l’orizzonte delle analisi rendendole complete e incisive. Sicché oggi il Rapporto annuale consente uno sguardo che osserva il Sud dal punto di vista dell’economia globale così da consentirci in pari tempo la puntuale immersione negli “interna corporis” delle economie regionali. Ciò che permette sia di ricostruire fenomeni che trascendono i singoli territori (fuga di cervelli, squilibri demografici, aree interne e congestioni metropolitane) sia di registrare le debolezze costitutive dei distretti produttivi e delle realtà sociali e istituzionali. E ciò, a partire da una appropriata lettura del quadro generale nel quale operano i meccanismi di accumulazione.
Si spiega così il profilo che connota la condizione meridionale esposta ad una crescita modesta che non autorizza ottimismi anzi inclina a valorizzare soprattutto gli indizi di resistenza che si manifestano intorno a risorse endogene e dentro una condizione incerta e transitiva. Su cui non tarderà a incidere duramente il meccanismo ora rimesso in moto della autonomia cosiddetta differenziata. Con gli effetti cui inevitabilmente condurrà la concorrente e dispari attrattività “dei Sud” non adeguatamente tutelati nella parità dei punti di ripartenza.
Un gap che nessun Ponte di Messina, ove fosse riscattato dai deficit regolamentari tecnici e industriali, potrebbe mai colmare.
Il problema è che permane una questione meridionale senza il “Meridionalismo”. Senza un pensiero in grado di “capitalizzare” adeguatamente quel giacimento disciplinare della ricerca ch’è la “scuola” Svimez. Così da tradurlo in strategie politiche quindi in impegnative scelte di governo. Una volta c’erano i luoghi ove si discuteva. E c’era la Politica. Oggi siamo nel deserto di sale di un mondo che naviga a vista e in ordine sparso. Il timore è che tornino fronteggiarsi un nordismo emancipato dal primo Bossismo che in fondo chiamava il Sud ad una moderna educazione nazionale e un sudismo rivendicativo e guerrillero. Che si torni a discutere non può che fare bene alla costituzione civile del Paese.
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