Editoriale

La scorciatoia dell’emergenza

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

Un Paese dove quando fai un litro di benzina paghi ancora i disastri del 900 è un Paese dove le emergenze durano un secolo. Ed è per questo che continuiamo a non fare nulla per evitare le grandi migrazioni sull’Europa. Continuando a chiamare emergenza qualcosa che ormai era all’ordine del giorno per i nostri genitori.

Dalle parole si capisce quanto un Paese mette a fuoco se stesso. E l’utilizzo forsennato delle parole allarme, urgenza ed emergenza in Italia è ormai stomachevole. Si parla di emergenza maltempo quando da trent’anni tutti i dossier denunciano la necessità di un intervento strutturale sul disagio idrogeologico di un Paese che ha secoli di storia. E nessuno ha fatto nulla. Si parla di emergenza quando sbarca una nave come se fosse cominciato ieri, quando è dalla fine degli anni 80 che ogni anno si ripete la stessa questione. Solo che negli anni del boom economico gli immigrati ci facevano comodo, non impattavano sulla vita sociale, non erano riconoscibili come un pericolo e se ne parlava molto meno. Oggi che la gente sta male e che la criminalità è più presente dello Stato al loro sbarchi, il problema è diventato ingestibile. Perché anche se numericamente la percentuale non è gigantesca, nella percezione comune è enorme. E questo è il segno che gli strumenti economici e politici che abbiamo non sono in grado di affrontare il problema.

Basta fare un viaggio nel Nord-Est della Lega per capire che tutti i modelli proposti non piacciono. C’è Luca Zaia il doge del Veneto che propone l’accoglienza diffusa e si trova i suoi sindaci, padani e verdi dal cuore alle braccia, dirgli di no. Poco più in là in Friuli c’è Massimiliano Fedriga, il leghista moderato, che propone invece un centro di accoglienza vicino a una città del cuore del Friuli, Palmanova, e la sua stessa maggioranza fa le bizze. Perché è ormai evidente che continuare così forte porterà al caos. Il problema non è stato gestito a livello europeo, anzi a livello di intero Occidente.

Il caos in Africa ha una storia e una datazione precisa e anche precisa responsabilità. Siamo passati ai governi nazionali e Bruxelles ha scaricato sull’Italia gran parte del problema materiale, con la scusa che il nostro Paese affaccia sul Mare Mediterraneo e rappresenta quindi il confine più ambito da questi milioni di persone alla ricerca di una vita che solo l’illusione e le bugie che circolano nei loro luoghi di provenienza possono immaginare di trovare qui. Da lì siamo passati alle regioni nel solito scaricabarile del finto federalismo italiano, che hanno demandato ai Comuni la frittata. Comuni spesso supportati da cooperative, strutture che ricevono milioni di euro dallo Stato e abbiamo visto all’inizio di questa legislatura da che razza di personaggi tali euro sono spesso gestiti.

E in nome di quale uguaglianza, forse quella dei loro conti correnti personali, vengono spesi quei soldi. Adesso che la ferita è aperta, l’impossibilità di una soluzione immediata è chiara a tutti, i soldi sono pochi e la criminalità ha preso possesso di molti luoghi simbolo della vita quotidiana degli italiani, dalle grandi stazioni delle metropoli fino alle periferie delle città, creando situazioni di disagio reale e quotidiano che si vivono sulla propria pelle, l’unica cosa da fare è rendersi conto che messi come siamo noi non siamo in grado di accogliere. A meno che per accogliere non si intenda sbarcare e imprigionare, indirizzare nel nulla migliaia di persone alla ricerca di un qualcosa e rischiare di cedere le loro vite a un destino non dico peggiore ma in tutto e per tutto simile a quello che stavano abbandonando rischiando la vita propria e dei loro cari, spesso dei loro figli innocenti, mettendosi in mano a criminali che nessuno di noi sta combattendo davvero.

In fondo la situazione della migrazione fuori controllo è la fotografia di un’Europa fuori controllo. Dove le regole della finanza hanno finito per svuotare le tasche dei cittadini normali e nel nome di tali regole continuiamo a prendere decisioni che sembrano fotocopie di vecchi libri di economia senza dare alcun risultato reale nella vita concreta. Forse dovremmo prendere atto di avere fallito. Di avere fallito non perché non siamo capaci di salvare una barca in mare, portare delle persone in un centro di accoglienza, e poi liberarle lasciandole andare dove vogliono e senza seguirne il destino. Di quello siamo capaci tutti.

Abbiamo sbagliato a immaginare l’Europa che sarebbe venuta, abbiamo sbagliato a immaginare forse l’intero Occidente che sarebbe venuto. Ce lo mostra ogni giorno la cronaca di una guerra assurda, inutile e infinita scoppiata in Ucraina per la nostra incapacità negli ultimi 20 anni di gestire un grave problema ai confini della Nato. E di decidere quale doveva essere il destino del riarmo in quell’Occidente che una volta conquistato il mondo aveva cominciato a deludere quelli che fino a 20 anni fa erano i Paesi più entusiasti di far parte del nostro sistema. E che oggi ci si rivoltano contro.


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