Editoriale

La versione di Biden

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

Elly Schlein deve prendersi qualche minuto e imparare a memoria la lezione che viene dal leader democratico americano Joe Biden, presidente degli Stati Uniti, e candidato della sinistra americana alle prossime presidenziali del 24. Insegna la missione che il premier italiano ha portato a termine nelle scorse ore alla Casa Bianca che i no figli di pregiudizio sono la cosa più lontana dalla cultura della sinistra e soprattutto la trappola più facile in cui cadere quando si ha il compito di guidare la coalizione e di costruire un’alternativa di governo in un paese democratico.

E questo perché si può contestare a Giorgia Meloni tante cose, a partire dalla provenienza politica e dalla scuola culturale da cui viene e rappresenta, è legittimo e fa parte della dialettica democratica di un Paese civile. Quello che non si può fare è commentare solo le scatole chiuse, essere contro proprio quando il governo sta mostrando segni di attenzione da parte dell’Europa e degli Stati Uniti che forse fino a qualche mese fa gli stessi leader che oggi li attestano pubblicamente non credevano possibili. In più si tratta di punti segnati dal governo su temi che sarebbero il cuore della cultura di sinistra, quelli sui quali ci sarebbe maggiore bisogno di un rapporto dialettico e differente, ma costruttivo, proprio del più grande partito della sinistra italiana.

Temi come la geopolitica e il tentativo di trovare il bandolo della matassa attorno ai cambiamenti planetari che si stanno costruendo in questi mesi sulla scia di una guerra, fra Russia e Ucraina, che noi sappiamo raccontare ma forse non abbiamo capito del tutto. Allo stesso modo sul tema dei migranti, una questione planetaria che insiste sull’Europa da decenni ma che oggi porta alla necessità di un grande piano internazionale di intervento strutturato su una visione che deve guardare almeno il 2050.

Tutte cose che negli ultimi anni, quando la sinistra era al governo, non sono state fatte e quando sono state fatte avevano il respiro corto di governi che stavano in piedi sulla base di accordi fra partiti e di situazioni d’emergenza del Paese ben lontane da quel consenso e da quella spinta elettorale che può garantire a un governo un minimo di prospettiva e di iniziativa sul lungo periodo. Ecco che quando Meloni va alla Casa Bianca, o porta due volte la presidente della Commissione Europea in Tunisia, una sinistra riconoscibile e soprattutto il suo leader dovrebbero guardare con molta attenzione a quello che sta succedendo, ascoltare molto bene quello che dicono leader internazionali molto più vicini al Pd come cultura politica che alla destra di Meloni e smetterla di chiudersi in un guscio moralistico dentro il quale traspare il pregiudizio per cui qualunque cosa venga anche solo sfiorata dalla destra fa schifo in partenza.

Non lo dico perché vorrei una sinistra più aperta ai temi di questo governo, ma al contrario perché vorrei fosse messa nelle condizioni di incidere proprio sui valori e sulle questioni fondanti la Repubblica che sono al centro del dibattito internazionale che vedono il Pd italiano in una posizione di nemico arrabbiato, più simile nei toni e nei fatti a quella che tengono gli italiani incazzati sui social di quanto sia invece quella di un partito antagonista, ma capace di una dialettica politica con chi governa con il mandato popolare. Perfino Mattarella, con il garbo a lui consueto, in un paio di occasioni ha sottolineato la bontà di alcune posizioni dell’Italia nate all’interno di Palazzo Chigi.

E quello che è capitato è stato vedere il Presidente della Repubblica, osannato storicamente dal Pd che l’ha voluto già molto tempo fa, criticato da alcune voci così dette libere di quelli intelligenti e culturali che ricordiamo con tanto affetto e con tanta nostalgia essere stata una delle componenti più belle della sinistra democratica italiana, trasformata in un qualunquismo piuttosto autoreferenziale dove l’unico elemento critico non riguardava né i fatti né la sostanza dei temi in questione ma il tentativo di ascriverli a una storia italiana fortunatamente passata che sembra essere l’unico riferimento riconoscibile di una certa sinistra oggi rispetto a quello che vede succedere nel proprio Paese.

Ed è strano se questo avviene in un contesto in cui in tutti gli anni del berlusconismo dall’altra parte del Parlamento e soprattutto della cultura politica era venuta una lettura, certo critica a volte anche feroce ma molto più avanzata e profonda delle caratteristiche di quel centrodestra di quanto dopo 30 anni di esperienza sia riuscita a fare stavolta la sinistra con il governo che si trova oggi a dover fronteggiare. Si riguardino bene le immagini dell’incontro con Biden. E si domandi Elly Schlein se non è forse il leader democratico più potente del mondo che usa toni così diversi dai suoi, leader democratico di un partito italiano in crisi, nei confronti di una donna che guida un governo che culturalmente è distante dalla Casa Bianca e dal suo inquilino di oggi tanto quanto lo è dal Nazareno.


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