Economia

L’euro pacco

di Giovanni Vasso -


L’Unione Europea ha un modo molto particolare per saggiare la bontà delle sue proposte. Se scontentano tutti, vuol dire che vanno bene. Sembra un modo quantomeno creativo di interpretare le cose ma è così che si fanno le cose nell’Ue. O, almeno, così si fanno all’Eurogruppo. La signora Elisabeth Svantesson, ministro dell’Economia della Svezia, presidente di turno del Consiglio Ue, ha definito la riforma del patto di stabilità come “un buon inizio” dal momento che “tutti sono scontenti”. Secondo la Svantesson, “è raro che tutti festeggino quando arriva una proposta dall’esecutivo Ue”. In effetti, quella che c’è sul tavolo dei 27 ministri dell’Economia è un’idea che piace poco. Solo gli olandesi ne restano entusiasti anche se c’è sempre spazio per fare di più, quando c’è da far tirare la cinghia alle cicale mediterranee. Sigrid Kaag, frugale ministro dell’Economia del frugalissimo premier Mark Rutte vorrebbe ammazzare la partita: “C’è incertezza. I mercati ci guardano, temo che passiamo troppo tempo a parlare di colloqui invece di impegnarci nelle trattative”. Invece di perdere tempo, suggerisce Amsterdam, chiudiamola qui: “Dobbiamo guardare a percorsi credibili di riduzione del debito”. Sulla stessa lunghezza d’onda c’è Christine Lagarde che non perde occasione per ossequiare falchi e rigoristi Ue. Indietro non si torna, per la “civetta” alla guida della Bce ora tutto sta nei tempi e nel fare presto: “I tempi sono essenziali e sappiamo che il lavoro va terminato prontamente”. La Germania del ministro Lindner tende la mano, nascondendo la volontà di blindare e rafforzare ancora di più i parametri: “Sono sempre amichevole, ottimista. E sempre costruttivo”. Bontà sua, signor ministro.
Ma è nelle parole della Commissione Ue che si legge, in tralice, l’obiettivo (duplice) della proposta sul piano di stabilità nuovo. “Ridurre il debito attraverso un consolidamento dei bilanci graduale e realistico” e “spingere la crescita sostenibile e inclusiva attraverso riforme e investimenti che promuovano le priorità comuni dell’Ue come il Green Deal e la transizione verde”. A pensar male ci si azzecca: sarà la Commissione, con il nuovo patto di stabilità, a decidere quali investimenti si potranno fare o no e gli Stati col rapporto deficit/Pil oltre il 3% o il debito pubblico al 60% del Pil, come l’Italia (ma anche la Francia…) dovranno adeguarsi. “Con le vecchie regole Ue, gli aggiustamenti finanziari richiesti agli Stati membri erano basate esclusivamente sul livello di debito e sulle condizioni cicliche. La nostra proposta, invece – ha puntualizzato la portavoce Veerle Nuyts -, fornisce incentivi per l’attuazione di riforme e investimenti, inclusi quelli che riguardano l’attuazione del Green Deal”. Dal vincolo esterno a quello green: commissariati, punto e basta.
Mentre si inizia a parlare del nuovo patto di stabilità, s’è levato il coro di chi chiede all’Italia di ratificare, subito, il Mes. La signora Lagarde ha aperto le danze: “Ci sono stati appelli ricorrenti da parte dell’Eurogruppo per il processo di ratifica che deve essere completato da tutti i Paesi. Penso che sarebbe un bene. Perché avere un backstop, in caso di difficoltà, servirebbe in realtà a tutti i Paesi che hanno ratificato”. Il presidente dell’Eurogruppo Pascal Donohe ha ribadito in conferenza stampa che “una delle priorità” sta nel “guardare a come possiamo continuare a realizzare il nostro impegno affinché il Mes possa fornire liquidità, come backstop, per il fondo di risoluzione unico”. Dopo le chiacchiere, il dito puntato: “Ho piena consapevolezza che è una questione sensibile in Italia, il desiderio di tutti noi è fare in modo che se altri Paesi che ritengano di fare ricorso a questo supporto lo possano fare. Nelle ultime settimane ci è stato ricordato così tante volte come sia cruciale la credibilità delle istituzioni”. Backstop, è la parola ricorrente. Cosa voglia dire lo spiega Pierre Gramegna, presidente del Mes: “Significa che raddoppiamo la potenza di fuoco di cui disponiamo per proteggerci dalle turbolenze finanziarie”. Gramegna ha poi rassicurato il consesso comunitario: tornerà a Roma, prestissimo. Ha detto. E non se ne andrà, ha lasciato intendere, fino a che non avrà la firma (con o senza sangue, non importa) della premier Meloni sotto il Mes.


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