LIBERALMENTE CORRETTO – Il mare nostrum non è solo nostrum
Due recenti sentenze chiariscono ciò che in verità doveva essere chiaro fin dall’inizio; e cioè che il mare nostrum non è solo nostrum. La Corte Edu ha escluso la responsabilità dell’Italia per fatti accaduti sotto la vigilanza della guardia costiera e delle autorità amministrative della Libia; il Tribunale di Palermo, assolvendo il ministro Salvini, ha dichiarato, incidenter tantum, che la nave Open Arms avrebbe dovuto approdare in un porto spagnolo, piuttosto che in Italia. Nell’un caso era coinvolta (direttamente) la sovranità libica; nell’altro la modalità di adempimento del dovere di soccorso, che comunque involgeva (indirettamente) una sovranità estera. Nell’uno e nell’altro caso, non sussisteva il diritto dei naufraghi da far valere nei confronti dell’Italia, la cui violazione avrebbe dato luogo alla responsabilità di soggetti italiani.
Orbene, è fin troppo evidente che il mare nostrum non può essere considerato nostrum ai fini della responsabilità di controllo e vigilanza, e alterius per goderne i frutti. Strano costrutto teorico quello che vorrebbe imporre il dovere unilaterale di soccorso e accoglienza in tutte le acque del Mediterraneo, salvo riservare aree di pesca e ricerca sottomarina a vantaggio degli “irresponsabili”. Tralasciamo il pregiudizio ideologico e la faziosità politica che potrebbero celarsi dietro il paradosso che vuole il mar Mediterraneo, nostrum per gli oneri e alterius per gli onori, e vediamo di capirne le radici culturali.
La dottrina giuridica dominante concepisce il diritto alla maniera di Hans Kelsen; una ristrettissima minoranza segue la teoria di Bruno Leoni. Il primo concepisce il diritto, in chiave positivistica, come necessariamente derivato da una deliberazione espressa dell’autorità politica e subordina la validità di ogni regola giuridica alla conformità a una norma gerarchicamente superiore. Nella logica kelseniana, il diritto non può sussistere, al di fuori di un sistema gerarchico di norme e privo di un crisma autoritativo, perché non si origina spontaneamente nei rapporti inter pares. Questa teoria si trova in difficoltà innanzi al diritto internazionale, che si forma nei rapporti tra soggetti sovrani, posti su un piano di parità. Qui la vis coattiva di un soggetto equivale a quella dell’altro soggetto, cosicché solo la possibilità di “convenire” su una determinata disciplina fa nascere il diritto. Manca il rapporto di gerarchia e dunque il diritto internazionale non può che essere “convenzionale”.
Ma proprio questa convenzionalità entra in collisione con l’abito mentale dei nostri giuristi, formatosi alla scuola di Hans Kelsen. Essi tendono a ignorare la presenza degli altri soggetti che esercitano una sovranità concorrente, giacché hanno bisogno di supporre una sola sovranità, una sola fonte di validità della norma giuridica, la quale trova posto in un ordine gerarchico fondato su una sola Grundnorm.
In ultima analisi, tendono a identificare l’intero dominio giuridico con l’ordinamento dello Stato. Da qui a pensare che lo Stato italiano sia giuridicamente responsabile di tutto ciò che accade nel Mediterraneo il passo è breve. Al contrario, la teoria di Bruno Leoni può spiegare bene il senso dei fatti e delle relative pronunce giudiziali. Egli concepisce il diritto come pretesa, approvata dal consesso sociale, originatasi nei rapporti inter pares a prescindere dall’intervento autoritativo. L’approvazione sociale è legata alle norme di cultura (Kulturnormen) vigenti nel tessuto sociale, per la spontanea evoluzione storica della civiltà.
La pretesa di Tizio – socialmente approvata in virtù delle norme di cultura, che regolano i rapporti inter pares – diventa diritto, quando incontra il corrispondente obbligo di Caio. Se Caio non è obbligato, Tizio non può vantare alcun diritto. Ciò vale tanto nei rapporti contrattuali interni, che nei rapporti di diritto internazionale convenzionale. Dunque non sussiste alcun diritto internazionale di sbarco, se manca il corrispondente obbligo di consentirlo; e se tale obbligo grava convenzionalmente su Sempronio, Tizio non può vantare alcun diritto su Caio. Allora poniamoci una domanda: perché non è stato chiaro fin dall’inizio che l’obbligo italiano finisce dove comincia quello altrui? Forse perché le categorie concettuali liberali sono estranee alla cultura statalista, dominante in Italia?
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