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LIBERALMENTE CORRETTO – La Corte costituzionale si surroga al legislatore?

di Michele Gelardi -


Una recente sentenza della Corte costituzionale riconosce lo status di genitore a entrambe le componenti di una coppia omosessuale, che abbia fatto ricorso alla procreazione assistita (eterologa); e dunque, sia alla madre biologica, sia alla “madre intenzionale”. In verità il riconoscimento di genitore è indiretto e derivato, giacché la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Lucca riguardava lo status di figlio riconosciuto (come da certificazione anagrafica) e il correlativo diritto del minore a esigere l’assistenza e il sostentamento da entrambe le madri (biologica e c.d. intenzionale). Ma non si può fare a meno di osservare che, in verità; sotto le mentite spoglie dell’interesse del minore, si annidasse la pretesa “politica” di equiparare l’unione delle due madri alla famiglia tradizionale, nella quale i due genitori si chiamano padre e madre. Quella famiglia, per intenderci, alla base del consorzio sociale, nella quale ha preso forma nei millenni la nostra civiltà, storicamente cristiana (come sottolineato recentemente da Leone XIV). Com’è evidente, la “materia del contendere” involge molte questioni di grande rilevanza etico-giuridica:
a) se la maternità biologica e quella “intenzionale” si pongano sullo stesso piano;
b) se al dovere etico-sociale di Tizio corrisponda il diritto di Caio;
c) se il legislatore debba intervenire in tutti gli ambiti della vita associata;
d) se l’ordine giurisdizionale debba porre rimedio alle c.d. “lacune” legislative.

A) Il presupposto di fondo della sentenza è che sussistano due autori di un medesimo “progetto genitoriale”, in relazione al quale assumono la medesima responsabilità. In verità, tale equiparazione non può essere totale, come implicitamente ammesso in sentenza, posto che la madre “intenzionale” dà un apporto (al comune “progetto genitoriale”) consistente nella mera prestazione del suo consenso. Dunque una componente della coppia assume l’onere di portare in grembo il nascituro per nove mesi e subire le doglie del parto, mentre l’altra acconsente alla gestazione e al parto altrui. Perché mai colei che “patisce” gestazione e parto dovrebbe essere equiparata a colei che vi assiste da “consenziente”?

B) Va da sé che il consenso della madre “intenzionale” comporta comunque l’assunzione di una responsabilità etico-sociale. Ma il piano etico e quello giuridico devono essere distinti. Supposta pure l’equivalenza etica dei due apporti volitivi al “progetto”, non si può disconoscere che, nel mondo giuridico, il fatto conta più dell’intenzione, sicché la condizione giuridica nascente dal fatto del parto può essere legittimamente diversificata rispetto a quella nascente dall’intenzione del parto (altrui). Al contempo, è pensabile che il “diritto a” del minore, corrispondente al “dovere di” della madre, non possa sorgere per la sola manifestazione del consenso sul fatto altrui.

C) C’è poi da chiedersi se il legislatore debba ergersi necessariamente ad arbitro del bene e del male. Indubbiamente è bene che la consenziente dia seguito alle parole con le quali ha espresso il suo consenso. E nulla gli impedirà di adempiere le sue obbligazioni morali, derivanti dal “progetto” cui ha prestato consenso. Ma si converrà che ciò non dipende dalla registrazione anagrafica. L’ufficio dell’anagrafe non tutela certo il minore e non gli assicura sostentamento economico, educazione e sostegno morale. Ciò è palese; tuttavia sembra non destare meraviglia una fictio iuris, che pretenderebbe di far corrispondere il bene reale al “bene anagrafico” e di sovvertire la legge della genitorialità naturale, dovuta all’incontro di un ovulo (femminile) e uno spermatozoo (maschile).

D) Infine, si può dubitare che competa all’ordine giurisdizionale colmare le “lacune” legislative, vere o presunte. Laddove una determinata omissione sia dovuta a una precisa voluntas legis, colmare la “lacuna” significa sostituirsi al legislatore e arrecare un vulnus al principio basilare della divisione dei poteri. Orbene, nel caso in esame, non si può supporre che l’omessa equiparazione della madre “intenzionale” a quella biologica sia dovuta a due fattori: l’impossibilità fisica di equiparare un fantomatico “parto Intenzionale” a un vero parto naturale; una legittima scelta di fedeltà ai principi tradizionali della nostra civiltà cristiana?


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