Attualità

LIBERALMENTE CORRETTO – Quell’Italia malata di pessimismo

di Michele Gelardi -


L’Italia è affetta da una grave malattia: il pessimismo. Pare addirittura che ne abbia il primato mondiale, secondo gli studi, citati da una sbigottita Barbara Palombelli qualche giorno fa nel talk di “Stasera Italia”, i quali peraltro trovano conferma nel report del “Sole 24 ore” del 15 marzo. In verità la posizione di vertice degli italiani, nella scala mondiale del pessimismo, non mi stupisce affatto. Per mio conto ho già fatto un’osservazione “statistica”, del tutto personale e “gratuita”, non suffragata da alcun dato comparativo, ma della quale ho assoluta certezza: siamo anche primatisti mondiali in chiusure delle scuole a seguito di “allerta meteo”. I due primati mi sembrano correlati, essendo l’uno l’effetto, l’altro un elemento sintomatico, di un unico fenomeno: l’eccesso di protezionismo di Stato. Invero l’essenza del pessimismo mi pare risiedere, più ancora che nella paura dell’imminente catastrofe universale (per Covid o cambiamento climatico), che pure è molto rilevante, nel vuoto personale, nell’assenza di prospettive e aspettative per il proprio futuro.
Il carburante del pessimismo è dato dalla frustrazione e dal senso d’inanità; in sintesi, dal sentimento d’impotenza della persona in relazione al cammino della sua vita. Chi sa di non poter “fare”, è costretto ad attendere che gli altri facciano. Se non può provvedere a sé stesso, può solo confidare nella provvidenza altrui, basata su legami, o sociali, o meramente giuridici. Nel primo caso, il tutelato entra in rapporto personale con il tutore e tende a ingraziarsene le cure; nel secondo, si instaura un rapporto asettico e cartolare, regolato solo da norme giuridiche astratte; nel primo caso, il tutelato fa qualcosa per apparire “meritevole” al cospetto del tutore; nel secondo, non deve e non può fare alcunché. Non tutte le assistenze e provvidenze implicano, dunque, il medesimo disimpegno del destinatario. Tra tutte, la provvidenza di Stato è quella più impersonale, meno legata all’apporto personale del destinatario, apprezzabile come merito. Perfino la Provvidenza divina invoca la partecipazione della persona, espressa in devozione, preghiera e rigore morale. La persona deve meritare il miracolo o la salvezza, su questa terra e nell’altra; gli ignavi non entrano nel Paradiso dantesco, non essendo meritevoli. Solo lo Stato non chiede nulla; protegge e basta.
In relazione alla condizione tipica e oggettivamente predeterminata del destinatario, concede prebende, dispensa bonus, offre servizi, prescindendo del tutto dall’affectio personale. Orbene, quanto più cresce la sfera della protezione impersonale di Stato, tanto più diviene irrilevante la meritevolezza, si deprime lo spirito d’iniziativa e decresce la disponibilità al sacrificio, ossia la capacità di sacrificare il presente (certo) in vista del futuro (incerto). E mancando la prospettiva del futuro, crolla la speranza, la quale si nutre della possibilità di creare da sé il proprio futuro. Per questa ragione, un po’ tutta l’Europa, culla del welfare state, è investita dal fenomeno del “pessimismo cosmico”. Ma quello degli italiani ha un quid pluris, traendo origine da un mix difficilmente eguagliabile di iperprotezionismo e inefficienza di Stato. Il futuro è considerato grigio in Italia, non solo perché lo Stato si surroga ai privati in molti ambiti, ma anche perché ostacola la residuale iniziativa privata con mille lacci burocratici. Infiniti certificati, nulla osta e procedure autorizzative opprimono gli italiani, frustrandone l’iniziativa ed essiccando la linfa vitale della speranza. Ovviamente lo Stato non crea ostacoli ad libitum; vuole solo proteggere.
Ognuno dei tanti passaggi di “cartuccelle” è giustificato in nome della massima protezione dei beni pubblici (salute, ambiente, in primis); sicché, in ultima analisi, la pubblica amministrazione iperprotettiva risulta paralizzante. Se, ad ogni scroscio di pioggia, si chiudono le scuole, si proteggono i pargoli dal rischio di inzupparsi i vestiti, ma si ostacola il loro apprendimento. Non c’è dunque da stupirsi se gli italiani, pur avendo il privilegio di vivere nel Bel Paese, dove un tempo si cantava “Sole mio”, sono i più pessimisti al mondo. Gli allerta meteo li hanno paralizzati e hanno sottratto loro la speranza.


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